Il regno dei sogni e della follia, di Mami Sunada

Un inedito e intimo ritratto della magia e della quotidianità dello Studio Ghibli, casa del maestro d’animazione Hayao Miyazaki. In sala solo il 25 e 26 Maggio.

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Scoprire cosa si nasconde dietro a quei semplici disegni, così piatti eppure in grado di sfondare lo schermo, di proiettare lo spettatore in un’altra dimensione con disarmante semplicità. Ma il modo in cui la regista Mami Sunada entra nei meandri dello Studio Ghibli non ha il taglio di un’inchiesta, ma sembra quasi una visita familiare. Più che i dietro le quinte della realizzazione dei film, la mdp si concentra sull’atmosfera unica che permea lo Studio, e di frequente si abbandona nell’osservare con distesa placidità ciò che accade dentro e fuori le porte di questo mondo a parte.

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The Kingdom of Dreams and Madness, di Mami SunadaDopo essere stata assistente alla regia per niente meno che Hirokazu Kore-eda, il precedente lavoro della regista è il documentario del 2011 Ending Note (Death of a Japanese Salesman), un dolce sguardo agli ultimi mesi di vita del padre, affetto da un cancro incurabile all’età di 67 anni. Per certi versi, anche The Kingdom of Dreams and Madness assume inevitabilmente i contorni di una delicata catastrofe annunciata. Sunada registra infatti le vicende dello Studio Ghibli in uno dei suoi periodi più complicati, quel 2013 in cui si portano avanti in contemporanea la produzione di Si alza il vento, ultimo film del maestro Hayao Miyazaki e de La storia della principessa splendente, ultimo film dell’altro padre fondatore della Ghibli, Isao Takahata, in produzione all’epoca da ormai otto anni, a cui è seguita l’annunciata “pausa di riflessione” dello Studio, scambiata da molti come un addio definitivo. Inevitabile, quindi, che il film si configuri come un ritratto audiovisivo del mono no aware, mosso dalla certezza che la fine è, se non prossima, quantomai tangibile. Questo è evidente fin dal principio dalle parole di Miyazaki stesso, che all’età di 73 anni continua a lavorare, a disegnare, ad animare i suoi sogni e i suoi ricordi, ma che al contempo si fa voce di un pessimismo livido e rassegnato, mosso però da placida consapevolezza. Vedere le sue mani ancora ferme creare lo storyboard, i singoli frame, i sottili disegni del suo ultimo e più personale film – “Questa è la prima volta che piango di fronte a un mio film” è l’unica frase che riuscirà a dire a proiezione finita – è non solo una gioia per gli occhi, ma anche una minima scheggia dell’enorme sacrificio che alimenta il mondo dell’animazione. Il documentario non riesce ad assumere i contorni di un film corale, e malgrado la presenza di molte persone diverse riprese durante il loro lavoro (compresa la gatta Ushiko, che vive nello studio), il protagonista assoluto rimanga Miyazaki, insieme al fantasma di Takahata, che non compare se non in pochi minuti verso la fine del film, ma che è costantemente evocato dalle parole dei suoi colleghi. Ma altrettanto tempo è dedicato alla contemplazione dell’ambiente, ai dettagli degli interni ricchi all’inverosimile di materiali e oggetti straordinari, così come allo scorrere delle stagioni nell’ambiente circostante, che regala scorsi di paesaggio di rara bellezza, in un continuo doppio movimento che illustra tanto la banalità quotidiana quanto la magia che permea lo studio.

The Kingdom of Dreams and Madness, di Mami SunadaSunada prende la difficile decisione di non mostrare nessuna scena dai film prodotti dallo Studio Ghibli, salvo negli ultimi cinque minuti del documentario, negli attimi prima che il maestro Miyazaki annunci il suo ritiro alla stampa: sulle sfondo delle sue parole sognanti, pronunciate mentre scruta il panorama dalla finestra, di condensano in un minuto scarso alcune scene dei suoi film, ed ecco davvero lo schermo gonfiarsi ed esplodere, a ricordarci perché lo Studio Ghibli si è insinuata nel nostro cuore per sempre. Nonostante le cupe affermazioni di Miyazaki facciano da coro a tutto il film, permeandolo di malinconia (su tutte, lo scambio di battute: “Non è preoccupato del futuro dello studio?”, “Il suo futuro è chiaro, crollerà. Che senso ha preoccuparsi? È inevitabile. Ghibli è solo un nome a caso che ho preso da un aeroplano.  È solo un nome”), c’è sempre spazio per un barlume di speranza. Il finale originale di Si alza il vento prevedeva la morte del protagonista, non a caso una forte figura autobiografica. “Posso solo farlo finire in questo modo”, afferma solenne il maestro mentre mostra al produttore lo storyboard. Eppure, in corso d’opera, Miyazaki cambia idea: nella scena finale del film, la defunta moglie del protagonista non dice più kite (vieni), ma ikite (vivi). Ecco, basta pochissimo per rovesciare le sorti di un destino annunciato, e se anche Miyazaki e Takahata non realizzeranno più film, ciò che hanno creato continuerà a vivere nei nostri sogni.

 

Titolo originale: Yume to kyôki no ôkoku

Regia: Mami Sunada

Interpreti: Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Toshio Suzuki, Joe Isaishi, Hideaki Anno, Goro Miyazaki, Shinsuke Nonaka, Yoshiaki Nishimura

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 118′

Origine: Giappone 2015

 

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