Blade Runner – The Final Cut, di Ridley Scott

È forse arrivato il momento di dire che Blade Runner è un capolavoro che sta persino stretto al cinema. Torna in sala il grande film di Ridley Scott

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Non è un’eresia dire che Blade Runner abbia avuto un’importanza nel cinema pari a quella di Star Wars. Se infatti il film di George Lucas ha cambiato per sempre la storia degli effetti speciali e le dinamiche produttive e commerciali intorno al blockbuster, quello di Ridley Scott ha reinventato un’estetica e un modo di filmare e pensare la fantascienza con cui intere generazioni di cineasti, scrittori e fumettisti avrebbero fatto i conti.

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È stato un successo graduale quello di Blade Runner. Un fenomeno di culto che dopo l’uscita in sala e l’anteprima a Venezia nella lontana edizione del 1982, l’ultima diretta da Carlo Lizzani, cominciò anno dopo anno a imporsi tra critica, pubblico e cinefili di tutto il mondo. Rispetto alla spettacolarità rocambolesca di Spielberg e Lucas, Ridley Scott – che pure è ancora oggi uno dei migliori cineasti del cinema d’azione – scelse di firmare un’opera cupa dal ritmo dilatato, tardoromantico, introspettivo e allo stesso tempo di una modernità sconcertante. Blade Runner proiettò gli incubi apocalittici e visionari di un genio come Philip K. Dick – il film è tratto da uno dei suoi romanzi migliori intitolato Ma gli androidi sognano pecore elettriche? – dandogli un look, un’anima, un design, con la visione della Los Angeles del 2019 ancora oggi insuperata. Ben presto arrivammo al punto che diventò impossibile iniziare ad amare e condividere  il cinema senza aver visto Blade Runner, che con un pizzico di ambiguità e forse anche di inconsapevolezza cominciò presto a diventare quasi un film-test con cui iniziare a muovere i primi passi nel cinema adulto. Forse Scott e quelli della Warner non se ne accorsero, ma certamente grazie a questo film si potè verificare una volta per sempre quanto potesse essere costoso e bello il cinema d’autore (ma il regista di Alien e Il gladiatore questa definizione la rispedirebbe al mittente con disgusto e probabilmente avrebbe ragione).

Per questo parlare di Blade Runner significa avere l’onere (e l’onore) di raccontare semplicemente non soltanto il cinema negli ultimi trent’anni, ma anche un certo marketing dell’immagine, del pensiero, dello sguardo critico e del gusto popolare. Un vero e proprio immaginario, capace di dare una poetica e un brand a ogni successiva rappresentazione futuristica dell’apocalisse.

Blade Runner

Blade Runner – Los Angeles 2019

 

Per chi è cresciuto vedendo e rivedendo la prima versione cinematografica, questa edizione final cut è stata avvicinata spesso con un po’ di diffidenza. Nel 1982 contro le intenzioni di Scott venne infatti inserita una voice over del protagonista che dava un sapore chandleriano e ancora più noir al film, un fascino da cinema anni Quaranta, in bianco e nero, che immergeva il film in un’atmosfera malinconica e allo stesso tempo metacinematografica – con l’inserto musicale della struggente One more kiss dear di Don Percival. Nel “vecchio” film c’era poi un finale ottimista, in cui si consegnava un futuro ai due protagonisti e i titoli di coda erano scanditi dai luminosi panorami che Kubrick aveva scartato da Shining.

Nei director’s cut successivi Scott ha eliminato questo finale e la voce narrante di Harrison Ford. Non è cambiato molto, ma quella di oggi  è un’edizione forse meno intellegibile, ancor più bella da vedere e astratta. Anche più onirica. L’indagine investigativa di Deckard è opaca e le scene sopravvivono con un’energia poetica immediata. I personaggi possono morire da un momento all’altro, spegnersi, rivendicare una seconda vita nelle allucinazioni, nelle vecchie foto di famiglia, nella bellissima musica di Vangelis.

È forse arrivato il momento di dire che Blade Runner è un capolavoro che sta persino stretto al cinema, tanta è la priorità che in ogni suo fotogramma viene concessa all’immagine e alla sua scrittura. È stato una nuova calligrafia con cui creare mondi, città, disegnare la notte, le luci al neon, far convergere il melò con il poliziesco e la fantascienza. E ammettiamolo: quella tra Rick Deckart e il replicante Rachel non è una delle più straordinarie storie d’amore mai raccontate?

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