Nessuno siamo perfetti, di Giancarlo Soldi

L’universo di Dylan Dog nel documentario che racconta il genio di Tiziano Sclavi. Così mescolando Neil Simon e Dario Argento, nasce in fondo un maledetto romantico

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L’universo di Dylan Dog nel documentario che racconta Tiziano Sclavi, il suo creatore, dal regista di Nero (sceneggiato dallo stesso Sclavi) con Sergio Castellitto e Come Tex nessuno mai. Opera incentrata sulla vita artistica e su alcuni aneddoti dell’autore di Pavia, che da bambino odiava la campagna e la provincia e sperava di trasferirsi presto in una grande metropoli, Milano. Presentato al Torino Film Festival 2014 e vincitore della Menzione speciale ai Nastri d’Argento 2015, il documentario racconta, attraverso interviste di alcuni stretti collaboratori, amici ed estimatori, la parabola professionale di uno dei più ispirati e influenti scrittori del nostro Paese. Storie, suggestioni, come le orche che sorvolano i cieli di Milano o l’ombra di un fantasma che si aggira per le stanze e le strade della città, fino a giungere all’inaspettata decisione di troncare definitivamente il rapporto con il proprio personaggio, “fantasma del west”, detective dell’ignoto.

Forse non sarà un capolavoro, ma certamente l’occasione è troppo ghiotta per rinunciare alla visione di questo documentario per i tanti appassionati di Dylan Dog e il suo creatore. Tra l’altro, belle sono le musiche di Ezio Bosso e sempre all’altezza della situazione la fotografia di Luca Bigazzi. Giancarlo Soldi, caro amico di Tiziano, prova a svelare le memorie e i pensieri più profondi del visionario autore, che ha chiuso tutti i ponti con il mondo e si è ritirato nel suo appartamento in compagnia di un gatto e un cane. Mangia una sola volta al giorno e soltanto pane e formaggio, si sente come l’inquilino del terzo piano di Roman Polanski e odia la madre per tutte le restrizioni che ha subito da piccolo. D’altronde le mamme nelle sue storie fanno una brutta fine o ricevono caratterizzazioni negative. Da giovane si firmava Francesco Argento, quasi certamente in omaggio ad uno dei suoi autori cinematografici preferiti, Dario Argento, di cui si innamorò follemente dopo la visione di Suspiria, solo al cinema, in primissima fila, come sempre. Nella notte fredda e scura, chi ha paura, chi ha paura, ha paura l’assassino di incontrare il suo destino… recita Castellitto in Nero. Venticinque anni di psicanalisi per “scoprire” che gli zombi di Romero sono i veri mostri del ‘900: si muovono lentamente e ininterrottamente ed hanno sempre fame. Le parole di Sclavi danno vita a visioni che si materializzano sullo schermo attraverso animazioni nella Milano del XXI secolo e si fa co-pratagonista del film, abitata dagli incubi dello stesso Sclavi. È proprio questa però la parte più debole del documentario, che fatica sinceramente a trasporre e tradurre l’immaginario devastante a disposizione. 1986: Alan Moore edita Watchmen, considerato tra i romanzi più influenti del secolo scorso, lo stesso anno esce Dylan Dog. Strane coincidenze: “I racconti del veliero nero” è una sottostoria di Watchmen e Dylan Dog quando deve rilassarsi o riflettere su un caso da risolvere, si appoggia ad un galeone in miniatura, lo stesso che Soldi fa veleggiare tra lo skyline milanese.

Un bravo artista copia, un grande artista ruba… il primo numero di Dylan Dog comincia con dei fotogrammi del capolavoro romeriano. Tiziano Sclavi, inquadrato a colori e a volte in bianco e nero, come in un fumetto, è un ineguagliabile artigiano, quindi sa copiare e rubare all’unisono. Tutti sono capaci di fare, è copiare che è difficile. Anche per questo, probabilmente, Umberto Eco ha paragonato Dylan Dog alla Divina Commedia, perché entrambi le opere sono sgangherate e sgangherabili, per le quali estraendo una qualsiasi scena, tale scena si reggerebbe da sola. Così mescolando Neil Simon e Dario Argento, nasce in fondo un maledetto romantico. “Vado a casa, mi lavo i piedi e poi vado a dormire”. Tiziano Sclavi lo si può immaginare tutto sporco, ma con i piedi puliti. Dal suo romanzo “Memorie dall’invisibile”: “Sono sempre stato una nullità. Da bambino, mia madre mi scambiava per mio fratello, anche se ero figlio unico, quindi non sono mai stato unico… come può morire uno che non è mai stato nessuno?”. Lapsus freudiano: “Io sono un alcolizzato, bevevo e la maggior parte delle cose che ho scritto fin da ragazzo le bevevo da ubriaco, pardon, le scrivevo da ubriaco”. Rivolto al regista, verso la mdp: “Dico addio a tutte le vostre cazzate infinite… nessuno siamo perfetti, ciascuno hanno i suoi difetti”.

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