#Locarno68 – Trainwreck, di Judd Apatow

dopo aver tirato su i comici di una generazione, Apatow riparte dalle donne: Wiig, Dunham, ora Amy Schumer. Ma continua a portare avanti il suo cinema-famiglia, che avvolge in un caldo abbraccio

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Dev’essere un padre meraviglioso Judd Apatow. Sicuramente lo è per la sua famiglia cinematografica, con una nidiata di figli cresciuti sin dai tempi del rivoluzionario Freaks and Geeks per arrivare alla creazione di una factory che ha di fatto rifondato una commedia americana rimasta orfana di autori come John Hughes, fino a insidiarsi in territori semi-sconosciuti: sarebbe stato possibile un film come Ant-Man e il suo supereroe goofy senza la conquista del botteghino da parte dei nerd apatowiani?

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Dopo aver tirato su i migliori corpi comici dell’ultima generazione – da Jason Segel a Seth Rogen – Judd si è concentrato sulle sue figlie. Tra le sue mani sono sbocciate Lena Dunham, Kristen Wiig e ora, a quanto pare, Amy Schumer, che scrive e interpreta un film à bout de souffle, ragionando su schemi già visti, almeno da Sex and the City in poi, ma con un ritmo incontenibile, accumulando una gag dietro l’altra e trovando tra i mille volti di questa famiglia allargata dei comprimari generosi, dal magnifico John Cena, amante palestrato – due scene che valgono da sole la visione – a Daniel Radcliffe e Marisa Tomei, impegnati nella parodia di un tipico film Sundance “Lui porta a spasso i cani, ma ha un complesso”, all’asso del basket LeBron James, che si fa dare persino del tirchio.

trainwreckMonogamy is unrealistic. È questo il mantra di Amy, sigillo di un memorabile ragionamento paterno fattole in tenera età: Ami quella bambola, giusto? Ma cosa faresti se ti dicessero che potrai giocare solo con quella bambola per tutta la vita? Il seguito è una corsa forsennata nella vita incasinata di questa trentenne newyorkese, tacchi alti e hangover perenne, che sembrano essere tanto diffuse nel perimetro di Manhattan.
Apatow lascia brillare la Schumer, che imperversa con tutta la ricca gamma emotiva di cui dispone, sostenuta da Brie Larson (che pure ci pare sempre un po’ sottoutilizzata) e da una finalmente divertita Tilda Swinton; ma questi nuovi volti sono talmente pregni dei suoi sketch, della sua ironia, da rendere impossibile determinare dove finisca l’una e inizi l’altro.

La stessa rieducazione alla coppia della protagonista, che sembra contraddire la rivendicazione dell’assunto, la possibilità di vivere da sole in piena autonomia (ma accadeva lo stesso alla ribelle Katherine Hepburn nelle commedie di Cukor…), è un qualcosa da cui ci si lascia convincere dolcemente.
Perché con i suoi personaggi – amati come solo un padre farebbe – e le sue famiglie disfunzionali, dove un nerd sovrappeso può conquistare una Katherine Heigl, dove i matrimoni si salvano dal naugfragio con baci al sapore di birra nei pub, Apatow ci fa capire che, in fondo, tutti non desideriamo altro che un abbraccio sicuro alla fine di una lunga giornata.

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