One Direction: Where We Are, di Paul Dugdale

Dopo quattro album in quattro anni di attività (e già questa prima affermazione dovrebbe bastare per capire che più che al cospetto di un gruppo, ci troviamo di fronte ad una catena di montaggio) il fenomeno One Direction non sembra voler scemare. One Direction: Where We Are non è altro che l’ennesima (a solo un anno dal loro primo concert film This is us) conferma del loro successo di pubblico.

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Non c’è molto da dire sul film in sé: strutturato in due parti distinte, la prima sezione è una breve intervista con i cinque componenti del gruppo con domande di vario argomento: si va dalle curiosità sul tour europeo fino a domande più personali e intime. La seconda metà è il vero cuore del film, il formato “live-concert” sempre più in uso al cinema. I sold out del 28 e 29 giugno al San Siro di Milano vengono riproposti in un unico grande footage. Luci, fuochi d’artificio, megaschermi, un’infinità di telecamere, montaggio frenetico ma didascalico, una tonnellata di sguardi in camera con ammiccamenti in slow-motion. L’estetica videoclip condensata alla perfezione in 60 minuti di performance live, il lavoro di Paul Dugdale alla regia è impeccabile.

 

Eppure il coinvolgimento dei giovanissimi spettatori non è così entusiasmante. Qualche urlo da sommare a quelli di Milano, le risate imbarazzate di fronte al bello di turno, alcuni si rivedono durante il concerto. La patina di perfezione, insomma, entra in cortocircuito con l’immagine di imperfetta sincerità che devono comunicare i cinque volti degli One Direction. Ragazzi acqua e sapone che vengono da piccole città, l’incredibile realtà di chi tutto sommato sta vivendo un sogno. Eppure il successo non li ha cambiati, sono ancora gli stessi bambini che quattro anni fa non pensavano sarebbero mai andati all’estero. La loro figura è così vera, reale, tangibile: annunciano le pause bagno durante le esibizioni, si commuovono di fronte ai fan. La generazione di X-factor, il concetto estremizzato di immagine ancor prima della musica (nessuna condanna verso questo atteggiamento) sa che deve essere percepita come totalmente amatoriale.
Si può parlare veramente di fenomeno? Per chi è fuori dal giro, ovvero chi non è toccato dagli input culturali che vanno a colpire i Directioners o i loro detrattori, risultare coinvolto è impossibile. Questo live concert riprova che di fenomenale non c’è nulla: ci sono solo tarature di marketing studiate al millimetro. Sopra un certo range di età (cioè, ipoteticamente, raggiunta quella maturità di interpretare razionalmente ciò che ci viene imposto al consumo) appassionarsi tanto quanto scandalizzarsi non ha alcun senso. Rimane solo il vago e confuso ricordo che qualche generazione prima prima c’erano i Backstreet Boys, e prima ancora… Grandi fenomeni, destinati all’immortalità legata ad un’adolescenza che prima o poi (fortunatamente) finisce.
Where we are? Ovunque. Ma fra venti anni saranno là, a ballare nel finale del film manifesto della combriccola del Seth Rogen di turno. È tutto sembrerà così confuso, lontano e terribilmente ridicolo…

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