A Blast, di Syllas Tzoumerkas

Più che un percorso in prospettiva, il film assomiglia a un referto di morte sopraggiunta. Ha un’importanza evidente, pur se sembra completamente svuotato di forza

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Si parte con una scena notturna, un’auto che attraversa le campagne, voci alla radio che parlano di incendi devastanti scoppiati poco lontano. La Grecia è in fiamme, in tutti i sensi. E la storia di Maria e della sua famiglia sembra esserne la prova più eloquente. Una donna allo sbando, con la rabbia in corpo e i sogni di gioventù in frantumi, con i figli da crescere e un marito lontano in mare, con i debiti del negozio della madre da saldare e una sorella che ha sposato un ottuso neonazista di Alba Dorata. Alla fine il fuoco divamperà sul serio, ma in un angosciante cerchio che ritorna all’inizio.

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Tzoumerkas, giovane regista di Salonicco, lavora sul “clima”, sulla percezione dell’aria che tira, più che sulla logica stringente della narrazione o la definizione dei percorsi dei suoi personaggi. Non c’è progressione drammatica vera e propria, anche perché A Blast mescola i piani temporali in maniera apparentemente incontrollata, senza cesure tra il prima e il dopo che possano leggersi al di là degli atteggiamenti dei corpi, delle loro incontinenze emotive, sempre a fior di pelle, nell’entusiasmo e nella disperazione. Il ritmo è sempre uguale, duro, metallico, teso e frenetico: musica cupa, dialoghi serratissimi, reazioni estreme e frenetiche, il sesso compulsivo come sfogo di passione e frustrazione, come meccanica del fallimento. Eppur tutto è monotono. Perché tutto, dall’inizio alla fine, sembra imprigionato in una bolla di rabbia, a un passo dallo scoppio. Appunto. La Storia è asfissiante… macina i suoi cadaveri nella morsa di una struttura economica e narrativa incomprensibile, senza traiettorie di cambiamento, progresso o regresso che sia, senza punti di svolta, chiavi di accesso e sbocchi di uscita.

 

Certo, Maria, la protagonista, ha ancora, nonostante tutto, la spinta dell’azione. O quanto meno la disperazione per tentare qualcosa, un gesto, una ribellione, un accenno, una fuga. Anche grazie alla presenza trascinante e furiosa di Angeliki Papoulia. Gli altri, invece, sono semplici apparizioni inconsistenti, corpi inermi presi nel mezzo dell’esplosione, vittime impotenti di un sistema imperterrito che annichilisce. Non sembrano esserci soluzioni, se non nella presa d’atto individuale di un default collettivo. Ma lo scoramento di Maria alle prese con la burocrazia sorda degli uffici gela il sangue.
Ecco, alla fine A Blast, presentato in concorso a Locarno lo scorso anno, più che un’analisi sulle cause e sulle terapie, più che un percorso in prospettiva, assomiglia a una radiografia di ghiaccio, a un referto di morte sopraggiunta. Ha un’importanza evidente, pur se sembra completamente svuotato di forza, nonostante l’energia artificiale pompata nelle immagini. Non cerca scarti, ipotesi, forme di resistenza al circolo mortale della macchina. Certo, la Grecia di oggi è da sé terra di tragedie, ha in sé i suoi motivi di esplorazione e di furore. Ma agli apologhi fantapolitici di Lanthimos e agli scoppi di Tzoumerkas, forse preferiamo ancora gli sguardi noir di un Economides, che con il suo Stratos (film peraltro passato inosservato), è ancora capace di lottare, di immaginare la rivoluzione di una scelta morale.

 

Titolo originale: Id.
Regia: Syllas Tzoumerkas
Interpreti: Angeliki Papoulia, Vassilis Doganis, Maria Filini, Themis Bazaka, Giorgos Biniaris, Efthymis Papadimitriou
Distribuzione: Microcinema
Origine: Grecia/Germania/Paesi Bassi/Italia/Bosnia Herzegovina/Francia, 2014
Durata: 83’

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