#Venezia72 – Pecore in erba, di Alberto Caviglia

Nella sezione Orizzonti l’esordiente Alberto Caviglia propone un divertente mockumentary nel quale ribalta il punto di vista sulla discriminazione razziale.

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Leonardo Zuliani ha sviluppato fin da bambino un “antisemitismo naturale”, che non necessita, cioè, né di ragioni concrete né ideologiche per esprimersi. Nonostante “l’incomprensione” della società per questa sua “legittima” posizione culturale, Leonardo non si dà per vinto e continua a trovare nuovi modi per propagandare le sue idee: il fumetto, la letteratura, perfino l’elaborazione una “Bibbia Redux”: nella quale vengono eliminati tutti i riferimenti al popolo ebraico. Riesce perfino a diventare ricco commercializzando un kit per incendiare la bandiera di Israele (chiamato Burning Love), ma proprio il sabotaggio di una grande manifestazione collettiva di Burning Love lo getterà in una profonda crisi. La sua successiva e misteriosa scomparsa, lascia tutto il mondo con il fiato sospeso, adesso che finalmente l’ha riconosciuto come leader culturale.

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Fino a che punto può arrivare in relativismo culturale? Esattamente fino al punto in cui sostenere una tesi o il suo opposto è solo questione di abilità comunicativa. Paradossalmente, Leonardo nel film riesce a fare proprio questo, non cambia di una virgola il suo messaggio (l’antisemitismo) ma affina via via il modo di comunicarlo, fino a renderlo appetibile, “innocuo”, perfino pop.
Il lavoro di Caviglia ha proprio questo obiettivo, partendo da un problema che lo riguarda personalmente (facendo parte della comunità ebraica romana), riesce ad allargare il discorso a tutto il sistema (ma più che altro ai metodi) del relativismo culturale, ormai imperante (e non per finzione), e lo fa proprio coinvolgendo tutto quel salotto televisivo (Fazio, De Bortoli, Augias, Freccero, Linus) abituato a non confrontarsi più sulla realtà ma solo a rilanciare iperbole interpretative su iperbole interpretative (ed è proprio qui che il film riesce ad innescare un perfetto loop con la realtà). Infine, un altro non trascurabile merito di questo suo lavoro sta nell’aver scelto una chiave ironica (se vogliamo anche rischiosa perché spesso, volutamente, sopra le righe) realizzando un muckumentary che strizza chiaramente l’occhio a Woody Allen (Leonardo Zuliani/Leonard Zelig) ed a Sacha Baron Cohen (Il Dittatore), preferendo, quindi, trarre maggiormente ispirazione dalla sua autoironia ebraica più che attingere ai modelli del cinema nostrano sempre pronti a battere la meno rischiosa chiave drammatica/di denuncia.

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