#Venezia72 – Island City di Ruchika Oberoi

La regista Ruchika Oberoi non riprende mai una Bombay da cartolina, e anzi rifugge da ogni rappresentazione edulcorata o lirica della città. Presentato in Giornate degli autori

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L’alienazione è il minimo comun denominatore di questo trittico di racconti ambientati a Bombay, che pur volendo fare una panoramica sulle varie classi sociali che popolano la megalopoli, parifica ognuno dei personaggi unendoli in un senso di solitudine che li accompagna a ogni scena, nonostante i palliativi e le ricerche di impossibili vie di fuga nei confronti di una realtà socio economica invasiva e schiacciante.

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La regista Ruchika Oberoi non riprende mai una Bombay da cartolina, e anzi rifugge da ogni rappresentazione edulcorata o lirica della città, rappresentando all’opposto nelle prime scene un’ ambientazione urbana asettica, che rinchiude il protagonista tra le pareti di un appartamento anonimo in un grattacielo che potrebbe trovarsi ovunque, per poi incasellarlo come tanti altri nella cella che separa la sua scrivania da quella dei colleghi della Security Service, la multinazionale informatica che schiavizza i propri lavoratori, fino ad arrivare a obbligarli ad avere un “giorno di svago”, che si rivela piuttosto una serie di umiliazioni a tappe forzate. Dai toni farseschi e neri del primo racconto in poi, il film si vela di sempre maggiore malinconia, mantenendo l’amarezza che lo contraddistingue, ed ampliando la visione sulle lacerazioni interne alla società indiana di oggi. Le due storie seguenti proseguono un percorso discendente verso i livelli più bassi della società indiana, che pur non essendo più mostrata come il luogo del degrado e dell’abbandono descritto da Mira Nair alla fine degli anni ’80 in Salaam Bombay! mantiene una serie di spaccature e contraddizioni profonde, segni di un progresso economico ma non sociale, che si fa strada in maniera tutt’altro che indolore. In questo senso le giovani donne rappresentate dalla Oberoi hanno qualcosa delle ingenue e speranzose protagoniste delle commedie amare che negli anni ’60 hanno così bene descritto la disillusione dell’Italia del boom economico, ancora incapace di reagire di fronte agli imprevedibili mutamenti di un’epoca. La fuga dallo squallore e dalle vessazioni quotidiane tramite l’identificazione con i personaggi delle soap che entrano a far parte della vita vera in maniera così radicata da arrivare a rimpiazzarla, sono il segno dell’intollerabilità dell’esistenza, ma al contempo ci portano a sorridere di tenerezza e ad astenerci da ogni giudizio nei confronti di personaggi che “tirano avanti”, tentando di preservare ciò che possono dall’impietoso contesto al quale appartengono.

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