#Venezia72 – Il Ghetto di Venezia, cinquecento anni di vita, di Emanuela Giordano

Evento Speciale delle Giornate degli Autori, è un bell’esempio di come un documentario storico possa trovare un respiro leggero ed inventivo senza rinunciare al rigore della struttura divulgativa

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In occasione del cinquecentenario della fondazione del Ghetto di Venezia, che ricorre nel 2016, Emanuela Giordano prosegue l’approfondimento dei temi legati alla storia ebraica che sin dai suoi primi lavori di documentario e finzione segna il fulcro della sua ricerca, sino ad ora soprattutto legata alle vicende dell’olocausto e dell’occupazione nazista.
Appassionato e puntuale, il nuovo lavoro della cineasta sulla vita del più antico quartiere ebraico d’Europa è un bell’esempio di come un documentario storico possa trovare un respiro leggero ed inventivo nelle forme, pur non rinunciando al rigore della propria struttura divulgativa.

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Giordano incrocia una serie di riusciti espedienti narrativi per affrancare l’impalcatura didattica dal peso dell’abituale tiro incrociato di interventi ed interviste (contributi di Amos Luzzatto, Gadi Luzzatto Voghera, Riccardo Calimani, Donatella Calabi, Aldo Izzo, Tobia Ravà, Simon Levis Sullam) e materiale di repertorio, quest’ultimo che si fa pressante soprattutto nella sezione finale dedicata all’incubo della Shoah.
Com’è chiaro, si tratta del periodo di cui già “in diretta” inizia ad essere disponibile un archivio di immagini e riprese importante: sino ad allora, l’autrice ha bisogno di crearlo sostanzialmente da zero, il contraltare visivo alle storie che i suoi personaggi vanno tessendo.
E allora le vengono in soccorso le evocative illustrazioni di Felicita Sala e Gianluca Maruotti, che ricostruiscono con disegni e animazioni la quotidianità nel Ghetto nel ‘500, ai tempi della sua istituzione da parte della Serenissima.

Per un’esplorazione delle vie e un sondaggio architettonico dei palazzi – botteghe per i prestiti di denaro, sinagoghe, abitazioni con scalinate vertiginose – del quartiere, il documentario si affida invece alla scoperta delle proprie radici che Lorenzo, adolescente ebreo di New York, intraprende accompagnato dalla zia e dai cuginetti che lo accolgono a Venezia portandolo in giro per le strade più rappresentative della storia del Ghetto.
Questo doppio binario permette a Giordano di tenere insieme tutti gli aspetti del suo oggetto di studio mantenendo nello spettatore un senso costante di scoperta e rievocazione, urgenza del presente e afflato di appartenenza ad una grande vicenda storica.

Funziona anche l’utilizzo di frammenti shakespeariani e non (chiaramente Shylock) messi in scena in costume da una compagnia di attori di strada su di un palco in uno degli slarghi del Ghetto, istanti e momenti cruciali della storia veneziana che in questo modo vengono narrati attraverso il linguaggio del teatro di piazza: come se lo sforzo più grande dell’autrice sia stato soprattutto quello di raccontare una memoria condivisa e viva, percepibile tra la gente, le mura e i suoni delle strade, un sentimento esplicitato dal saluto finale a Lorenzo e allo spettatore in cui ci uniamo ad un ritratto di gruppo dei diversi personaggi che ci hanno accompagnato lungo il viaggio del documentario.

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