Tra cinema e poesia: un ricordo di Nelo Risi

Nelo Risi si è spento giovedì sera, a 95 anni, nella sua casa romana di via del Babuino. Poeta e regista, fratello di Dino, nei suoi film ha esplorato psicologie, turbamenti, sconvolgimenti femminili

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Chissà com’era, l’infanzia in casa Risi: con quei due fratelli, Nelo e Dino, intelligenti e vivaci, e intorno Milano con i pantaloni alla zuava. Il padre, medico del Teatro alla Scala, che si trovò a salvare Mussolini. Un padre morto presto, quando Dino aveva dodici anni e Nelo, nato nel 1920, appena otto. Senza il tempo di immaginare che quei due ragazzetti sarebbero diventati artisti, liberi pensatori, eroi di dignità.

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Nelo Risi si è spento giovedì sera, a 95 anni, nella sua casa romana di via del Babuino: accanto, fino all’ultimo, la moglie, la scrittrice e poetessa ungherese Edith Steinschreiber Bruck. Chissà se anche Nelo, come Dino, giocava a fare il cinico. “Avevo programmato di vivere novant’anni, ho già sforato di cinque e la cosa mi dà fastidio”, disse Dino Risi un giorno, prendendo in giro l’Inevitabile. Proprio come Dino, Nelo Risi si laureò in medicina. Nessuno dei due esercitò a lungo: Dino a vent’anni scelse il treno per Roma, il sogno, e sul set s’innamorò di Alida Valli. Nelo scelse la parola. La sua prima raccolta di poesie è del 1941, aveva solo vent’anni. L’ultima, “Né il giorno né l’ora”, è del 2008. In mezzo, quasi sette decenni di poesia e di cinema.

Perché Nelo Risi è stato anche un regista colto, attento alle vibrazioni dell’anima femminile. E non estraneo all’impegno civile. Nel 1960 vinse il Nastro d’argento per il cortometraggio I fratelli Rosselli. Da allora, dirigerà otto film, un telefilm, varie inchieste televisive. Tra cui, nel ’70, con Elio Petri, Ipotesi sulla morte di Pinelli, documentario pieno di rabbia, sdegno, ironia.

22Nei suoi film Nelo Risi esplora psicologie, turbamenti, sconvolgimenti femminili. Come nel Diario di una schizofrenica, del 1968, dal libro omonimo di Marguerite Sechehaye. O come in Ondata di calore, del 1970, in cui dirige Jean Seberg, la ragazzina di All’ultimo respiro, nel ruolo di un’americana intrappolata in Marocco, fra turbamenti erotici e schegge di follia. Mentre in Andremo in città, del 1966, mette in scena il romanzo autobiografico di sua moglie Edith, sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen, e le dà il volto di Geraldine Chaplin. Infine, in Una stagione all’inferno, racconta Arthur Rimbaud e gli dà il volto del felliniano Terence Stamp.

Il resto è poesia. Vince nel 1970 il premio Viareggio, nel 2006 il premio Dino Campana, nel 2007 il premio Giosuè Carducci. La sua poesia non è vaga, allusiva, ermetica: “La chiarezza nella sua poesia prevale sull’ambiguità, il detto sul non detto”, commenta Giovanni Raboni. Non è un limite. Pariniano, erede anche intellettuale della sua Milano, Nelo Risi crede nella logica, nell’onestà del discorso.

In una delle ultime poesie, cesella ciò che ama: “…a mattino inoltrato / fischiettare Mozart staccando la spina per cogliere / l’istante di vero che talvolta mi dà luce”. Tra i messaggi seguiti alla sua scomparsa, uno postilla: “Risi ha qualcosa del medico e qualcosa del poeta: una poesia terapeutica, può darsi”.

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