"A cavallo della tigre" di Carlo Mazzacurati

Il film di Mazzacurati è il segno di un cinema sempre più involuto che si ripropone con lo stesso spirito di 15 anni fa (quando il regista esordì dietro la macchina da presa con "Notte italiana") ma anche con l'esibizione di uno sperimentalismo visivo dove però non ci sono coordinate di sguardo, né i minimi obiettivi emozionali da trasmettere

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Residui della "commedia all'italiana". Esplicitamente da La lingua del santo, il cinema di Carlo Mazzacurati sembra riprendere la struttura del genere, affidandosi sulla scrittura come principale elemento di costruzione del racconto (la sceneggiatura è stata scritta dal regista con Franco Bernini, con il quale aveva già collaborato per Notte italiana, Il prete bello, Un'altra vita e La lingua del santo) e con lo sguardo che amplifica, con deformazione tra il tragico e il grottesco, la poetica dell'uomo comune. Se in La lingua del santo il referente più immediato sembrava essere la provincia claustrofobica del Germi di Signore e signori, in A cavallo della tigre viene ri/fatto, con sostanziali modifiche, il film realizzato da Comencini nel 1961 che vedeva Manfredi nei panni di un uomo che fugge di prigione ma, una volta uscito, scopre di essere incapace ad adattarsi alla società che lo circonda. Se Bernini è un allievo di Age (che con Scarpelli e Monicelli aveva scritto il film di Comencini che si rivelò un flop all'uscita in sala e venne rivalutato molti anni più tardi) Mazzacurati si mostra devoto figlio di presunti padri di una stagione commercialmente felice anche se qualitativamente tutta da rimettere criticamente in discussione. Se il film di Comencini era da considerarsi come un'esperimento anomalo nel filone, allo stesso tempo coraggioso ma anche irrisolto, il film di Mazzacurati prosegue per siparietti – la rapina all'Ikea di Guido e Antonella (interpretata da un'imbarazzante Paola Cortellesi) travestita da Babbo Natale, i contrasti in cella tra il protagonista e i due turchi con cui evaderà dal carcere – giocando sulla deformazione dei volti, sull'assurdo che penetra nella quotidianità alterando i piccoli equilibri esistenziali e proponendo anonime e irritanti macchiette, dal commissario di Citran all'Iguana di Messeri terminando con il Faustino di Paolini. Come al solito, Mazzacurati lascia disperdere i corpi negli esterni. Anche in A cavallo della tigre c'è una frammentazione del set che porta i protagonisti da Milano a Torino fino in Liguria (il compagno di fuga di Guido, Fatih, è interpretato da Tuncel Kurtiz, tra gli attori preferiti da uno dei più grandi registi turchi, Yilmaz Guney), con la fotografia di Pesci che amplifica uno spazio spesso anonimo se non ostile. Mazzacurati però non possiede l'ironia per non prendere la storia troppo sul serio e i segni di quella follia capace di far andare i personaggi completamente fuori giri; l'espressione smarrita e incosciente di Bentivoglio poteva essere infatti adatta per poter prendere questa direzione. Ciò che resta è solo un confuso miscuglio che, da una parte, non sembra mutare quell'ottimismo del boom capitalistico dell'inizio degli anni Sessanta e dall'altra riproipone quel "minimalismo" apparentemente partecipe del cinema italiano della fine degli anni Ottanta. Mazzacurati ripropone la condizione degli stranieri emarginati in Italia ripresentando la sua galleria di personaggi con la presunzione autoriale anche abbastanza sfacciata; i turchi di A cavallo della tigre appaiono riproposti come gli zingari di molti suoi film precedenti. Questi però vengono resi come delle fastidiose caricature fintamente umanizzate e guardati anche con uno sguardo pericoloso che tende a isolarli e giudicarli (il personaggio di Hamid, compagno di cella di Fatih). In definitiva, A cavallo della tigre è il segno di un cinema sempre più involuto che si ripropone con lo stesso spirito di 15 anni fa (quando Mazzacurati esordì dietro la macchina da presa con Notte italiana) ma anche con l'esibizione di uno sperimentalismo visivo dove però non ci sono coordinate di sguardo, né i minimi  obiettivi emozionali da trasmettere.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 


Regia: Carlo Mazzacurati
Sceneggiatura: Franco Bernini, Carlo Mazzacurati ispirata al film omonimo di Luigi Comencini
Fotografia: Alessandro Pesci
Montaggio: Paolo Cottignola
Musica: Ivano Fossati
Scenografia: Paola Bizzarri
Costumi: Lina Nerli Taviani
Interpreti: Fabrizio Bentivoglio (Guido), Paola Cortellesi (Antonella), Tuncel Kurtiz (Fatih), Boubker Rafik (Hamid), Manrico Gammarota (sovrintendente), Marco Messeri (Iguana), Marco Paolini (Faustino), Roberto Citran (commissario Carucci), Paolo De Vita (barbone), Carla Signoris (direttrice del carcere)
Produzione: Rai Cinema realizzata da Rodeo Drive
Distribuzione: 01 Distribuzione
Durata: 102'
Origine: Italia, 2002

--------------------------------------------------------------
CORSO COLOR CORRECTION con DA VINCI, DAL 5 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative