A modern family, di Andrew Fleming

Racconto senza toni da proclama della possibilità concreta di una famiglia con due padri, col sempreverde meccanismo comico dell’intruso “proletario” nella vita miliardaria di due figure di successo

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Difficile al giorno d’oggi essere Paul Rudd, cercare cioè di mantenere il proprio status nel panorama della commedia indie intelligente e alternativa mentre gli schermi del mondo intero ti vedono attraversare con la tuta e i superpoteri di Ant-Man i blockbuster megaplanetari del MCU. Rudd ce la mette tutta per non perdere la propria integrità: su Netflix è il volto della commedia progressista alla Altruisti si diventa, porta avanti la saga di Wet Hot American Summer, e Duncan Jones lo ha scelto per il suo sci-fi intellettuale Mute.
Nel frattempo, in questo Ideal Home l’attore apatowiano cerca con ogni evidenza di trovare la quadratura perfetta tra il moderato machismo della sua fase Marvel e il suo trademark di cinema che ironizza argutamente sui sentimenti: il risultato lo vede dipingere un personaggio, il burbero e scostante compagno della star dei cooking show televisivi Erasmus (Steve Coogan) di cui è il produttore, non troppo lontano per caratterizzazione e tic da quello tratteggiato per David Gordon Green nello straordinario Prince Avalanche.
Nella parabola sotto Apatow, Rudd ha d’altronde rappresentato da sempre l’incarnazione perfetta dello slittamento di virilità accusato dal maschio contemporaneo (“mi fai sentire come una casalinga degli anni ‘50”, si diceva all’epoca), basti vedere alcuni ruoli-chiave come I love you, man.

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Stavolta, Paul (Rudd) e l’amato Erasmus/Coogan si ritrovano all’improvviso a dover gestire il nipotino Bill, dato che il padre del pargolo, frutto di una scappatella etero di Erasmus, è uno scavezzacollo finito dietro le sbarre. Ne viene fuori il racconto non strillato, lontano dai toni del proclama (se non probabilmente nei titoli di coda in cui scorrono istantanee di coppie omosessuali con figli) della possibilità concreta di una famiglia con due padri, unito al sempreverde meccanismo comico dell’intruso “proletario” (Bill che è sempre vissuto di espedienti insieme al papà) nella vita miliardaria di due figure di successo – la maestosa villona fuori Santa Fe dove vivono Erasmus e Paul con la servitù.
Se il versante dello scontro tra culture è risolto in maniera un po’ meccanica con il reiterato confronto tra la cucina gourmet di cui è alfiere Erasmus, e l’ossessione – quasi da product placement – del ragazzino per la catena di fast food Taco Bell, va sottolineato di contro come Andrew Fleming non arretri di un passo nella rappresentazione dell’intera gamma di “frizioni” che una cellula familiare di questo tipo può comportare, dalla sessualità al linguaggio, e di come sia in realtà facile superarle con consapevolezza, nell’educazione di un bambino.
Lo aiuta tantissimo l’alchimia tra Coogan e Rudd, entrambi abituati a pronunciare “sconcerie” con nonchalance nelle rispettive filmografie: al caratterista inglese vengono anche riservati una serie di siparietti che si prendono blandamente gioco dei cliché dei programmi di “cucine dal mondo”, sui quali aleggia però evidente il sentore che Coogan, se lasciato libero, avrebbe potuto graffiare molto di più.


Titolo originale: Ideal Home

Regia: Andrew Fleming
Interpreti: Steve Coogan, Paul Rudd, Jack Gore, Jake McDorman, Alison Pill, Kate Walsh, Sarah Minnich, Jesse Luken
Origine: USA, 2018
Distribuzione: Adler
Durata: 91′

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