A testa alta, di Emmanuelle Bercot

Un’opera che non merita di essere sottovalutata, i personaggi rimangono nella memoria e la regista francese cerca una strada sofferta, anche incerta, ma innegabilmente partecipata e mai ricattatoria

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A testa alta è un film che ripercorre la tradizione cinematografica truffautiana sul racconto di formazione e allo stesso tempo sembra riflettere metaforicamente (ma neanche troppo) sulla gestazione sociale, etnica e culturale di un Paese che giorno dopo giorno prova a capire come diventare adulto. Ma c’é anche dell’altro: ovvero la storia di un ragazzo da crescere, educare e riabilitare al mondo, che diventa discorso e laboratorio d’autore su cui misurare la propria capacitá di raccontare la rabbia giovane, di fare un cinema mobile ed esplosivo. E forse é vero che in Francia per diventare un grande regista bisogna prima saper filmare l’adolescenza. La Bercot ci prova in questa storia – scritta insieme a Marcia Romano – che attraversa la vita di Mallony (Rod Paradot) dai sei ai 18 anni tra riformatori, fughe, amicizie, scatti di rabbia, scontri fisici, furti di auto, incidenti e la minaccia incombente del carcere. Vediamo nel prologo il protagonista bambino durante un acceso colloquio tra il giudice e la madre. Lei ha giá un figlio e non ce la fa a badare a entrambi. Se ne va e lascia il piccolo da solo e frastornato a giocare davanti agli assistenti sociali, che si chiedono cosa fare di lui. Un inizio quasi programmatico.

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Benoît Magimel e Rod Paradot in A testa altaCosa fare di Mallony e soprattutto come raccontare la sua storia?
La regista prende qualcosa da Cantet e altro dai Dardenne, sta attaccata al “suo” ragazzo con partecipazione e affetto materno. Forse in alcuni momenti sembra piú seguire un tracciato esemplare, che un istinto sincero di freschezza e immedesimazione, ma non bluffa con lo spettatore. Ogni tanto devia dal percorso del protagonista per regalare parentesi giuste sul mondo degli adulti e su tutta la distanza che c’é tra il loro compito di educatori e la fatica alla vita del ragazzo. Cosi se Yann (Benoit Magimel) é un assistente sociale che vive sulla sua pelle e sui suoi fallimenti il difficile percorso di Mallony, il giudice senza nome (Catherine Deneuve) rappresenta l’istituzione statica che vede il tempo (e la vita del giovane) passarle davanti agli occhi, dovendo scegliere sempre e comunque sul suo destino da dietro una scrivania, lavorando sui protocolli e su quelle statistiche che forse a nulla servono quando di mezzo ci sono i turbamenti della crescita e l’abbandono alla delinquenza. E’ chiaro che la stessa Deneuve qui sembra rappresentare un’istituzione che é anche cinematografica ed è instillata nel film per incarnare una Storia e ricollegarci alla tradizione di cui parlavamo all’inizio.

rod paradot e sara forestier in a testa altaChissá se alla fine il vero rispecchiamento del film non sia allora proprio quello tra lei (il giudice!) e la cineasta francese. Con la Bercot che da dietro la macchina da presa ama il film che sta realizzando ma allo stesso tempo invece di lasciarsi andare alle emozioni, sente la responsabilitá del tema e prova ad appoggiarsi con cautela a certi moduli di scrittura (l’inefficacia della figura materna ad esempio) e musicali. Handel e la musica classica diventano quindi accensioni poetiche (quasi bucoliche) dell’etá inquieta, correndo il rischio a volte di trasformare la veritá in didascalismo. Sono gli evidenti limiti di un’opera che allo stesso tempo non merita di essere sottovalutata, perché i personaggi rimangono nella memoria con una loro forza e la regista francese cerca una strada sofferta, anche incerta, ma innegabilmente partecipata e mai ricattatoria.

Titolo originale: La tête haute
Regia: Emmanuelle Bercot
Interpreti: Rod Paradot, Catherine Deneuve, Benoît Magimel, Sara Forestier
Distribuzione: Officine Ubu
Durata: 120′
Origine: Francia 2015

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