Agadah, di Alberto Rondalli

Tratto dal Manoscritto trovato a Saragozza, il film si costruisce come se fosse un caleidoscopio in movimento, dove ogni storia può essere il racconto di un’altra, oppure il riflesso di se stessa

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Che “la vita è sogno” lo diceva Calderon de la Barca. Che tutto – come il Cinema – può essere un’illusione, un trucco dell’occhio e della mente che ci tiene sospesi in un costante senso di irrealtà, da Platone in avanti. E così via, dispiegandosi fino all’infinito. Ma per quanto l’argomento possa essere visto, banale e a un certo punto diventato pure inutile, la letteratura e il cinema continuano a tornarci una e mille volte, come chi torna alla matrice per riprendere l’aria, alla sua genesi per capire che cosa si è diventati. Agadah: sogni e avventure di Alfonso Van Worden di Alberto Rondalli (Il Derviscio, L’aria del lago), concentra tutte queste intenzioni, prendendo come spunto una dimensione letteraria onirica, dissolta e quasi irraggiungibile per ricomporre e farla diventare immagine, ma non necessariamente realtà.

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Tratto liberamente del Manoscritto trovato a Saragozza dello scrittore polacco Jan Potocki, il film si costruisce come se fosse un caleidoscopio in costante movimento, dove ogni storia può essere il racconto di un’altra, oppure il riflesso di se stessa. Nel 1815, e preso da una specie di depressione, il conte Potoski (Jordi Mollà) scrive il suo romanzo, che parla delle vicende del giovane ufficiale Alfonso di van Worden (Nahuel Perez Biscayart) nel 1734,

agadah_scenaquando riceve l’ordine di raggiungere il suo reggimento a Napoli il più presto possibile. Il suo viaggio attraverso l’altopiano delle Murge diventerà un intreccio onirico e surreale, di dieci giornate, pieno di incontri con maghe, fantasmi, spettri e cabalisti; un percorso in certo senso iniziatico, oppure un viaggio di ritorno alla fonte, dove tutto sembra tangibile ma niente rimane, come l’acqua.

Con frammenti parlati in spagnolo, italiano e francese – e con un cast internazionale che include gli attori italiani Alessandro Haber, Umberto Orsini, Alessio Boni, Valentina Cervi e Caterina Murino – il racconto si svolge espandendo le sue possibilità narrative ogni volta di più, come una bambola russa fatta di versioni di se stessa, ma la cui volontà di moltiplicarsi in continuazione senza seguire un flusso naturale poi rende difficile metterle tutte al posto giusto.

L’azione è la legge universale della natura“, sentenzia a un certo punto uno dei protagonisti. Ed è l’azione costante, la velocità degli incontri tra i personaggi, la divisione della storia in dieci frammenti precisi che hanno un inizio e una fine, ciò che da un certo dinamismo ad Agadah e allo stesso tempo impedisce che l’ostinazione onirica e quel gioco di specchi infinito – ed a volte troppo enfatagadah1ico – divenga in un desiderio imperioso di dormire per sognare un’altra cosa. D’inventarsi un proprio sogno e rifugiarsi nella sua fugacità per trovare un senso, o forse una via di uscita.

Se prendiamo lo spirito enfatico del film e continuiamo a parlare di riflessi, echi e trucchi dell’occhio, l’immagine che Agadah ha di se stesso – facendo un paragone con I racconti di Canterbury e Le mille e una notte oppure, nelle parole del regista, autodefinendosi “un Decameron nero” – potrebbe sembrare ambiziosa, fuori fuoco, quasi assurda. Ma paradossalmente è in questa auto-stima – sia un’illusione o soltanto un punto di vista – dove si trova la forza del film, il suo coraggio: nella convinzione di essere qualcosa di più, qualcosa di speciale. Di potersi paragonare a Pasolini. Di circondare mille e una storia simultaneamente, anche se sfuggono e a volte si perdono nei riflessi, continuano ad andare avanti con la certezza – reale o immaginaria- di avere un senso.

Regia: Alberto Rondalli
Interpreti: Pilar López de Ayala, Nahuel Pérez Biscayart, Jordi Mollà, Caterina Murino, Alessandro Haber, Umberto Orsini, Alessio Boni, Valentina Cervi, Ivan Franek, Marco Foschi, Flavio Bucci
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: Ra.Mo.
Durata: 126′

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