"Alla deriva", di Hans Horn

L’impressione è che al regista interessi più sondare le sfumature caratteriali dei personaggi (il senso di colpa, l’ipocrisia, l’egoismo e la frustrazione) che realizzare un trattato sulla (im)possibilità di salvezza di chi si trova in balia di acque sconosciute e tale scelta si è rivelata errata in quanto i personaggi non hanno forza carismatica sufficiente a creare empatia con il nostro sguardo

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A distanza di tre anni arriva sugli schermi il sequel apocrifo di Open Water, reso “obbligatorio” dal clamoroso successo che il film riscosse in tutto il mondo grazie anche alla sponsorizzazione del Sundance (già, proprio il festival che spinse molto per la diffusione planetaria del tremendo film Napoleon Dynamite…). In questo secondo capitolo, diretto dal tedesco Hans Horn, si ha una evoluzione della storia che non comprende più due soli personaggi, ma tre coppie di fidanzati, una sorta di rafforzamento drammaturgico per dare, o almeno tentare, più spessore emozionale alla vicenda narrata. Amici che si ritrovano per una banale ma drammatica disattenzione in acqua senza aver però attivato la scaletta per risalire in barca; ad aumentare la tragicità della situazione, la neonata figlia di una delle coppie, rimasta nella stiva a dormire. Trama scheletrica dunque, unità di tempo e luogo tanto cara al docu-drama, ossessive inquadrature dei naufraghi con la camera rasente l’acqua per trasmettere maggior senso di panico ed angoscia allo spettatore e riprese subacquee a voler evidenziare la minacciosa infinità del mare (siamo in Messico ma non sappiamo se nell’Oceano Pacifico o nel Mar dei Caraibi). Il “timer” è rappresentato dalla bimba addormentata, una sorta di sfida indiretta rivolta ai ragazzi che devono riuscire a risalire sullo yacht prima che la piccola si svegli e cominci a piangere. Ed è proprio il suo risveglio a scatenare il panico nei giovani che momento dopo momento perdono la lucidità necessaria per risolvere la complessa situazione. La parte debole del film risulta essere proprio il sovraccarico di personaggi e personalità che narrativamente sgonfiano la tensione invece di accumularla: dialoghi inconcludenti ed immagini montate con piatta consequenzialità, quando in un film con tre elementi (l’acqua, il cielo e una barca) il montaggio deve avere cura particolare per imprimere ritmo ed esprimere senso  alla scarsità del “filmabile”. L’impressione è che al regista interessi più sondare le sfumature caratteriali dei personaggi (il senso di colpa, l’ipocrisia, l’egoismo e la frustrazione) che realizzare un trattato sulla (im)possibilità di salvezza di chi si trova in balia di acque sconosciute e tale scelta si è rivelata errata in quanto i personaggi non hanno forza carismatica sufficiente a creare empatia con il nostro sguardo. 

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Titolo originale: Open Water 2: Adrift
Regia: Hans Horn
Interpreti: Susan May Pratt, Richard Speight Jr., Niklaus Lange, Eric Dane
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 95'
Origine: Germania, 2006
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