AMERICAN SNIPER – Argonautiche

bradley cooper in american sniper

La leggenda dell’eroe è solo una tragedia individuale. Questo è il desolato, ma misericordioso umanesimo di Eastwood. Il suo cinema testimonia la dissolvenza in nero dell’epos. Accusarlo di propaganda, oggi, vuol dire avere la stessa prospettiva obbligata del cecchino. Ma anche per questo salutiamo la grandezza di American Sniper, per aver svelato la finzione di un unanimismo critico ipocrita

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american sniperSe uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro; frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro (Levitico 24, 19-20)

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Non posso sparare a quello che non vedo”. Per il cecchino il fuoricampo non esiste, o almeno non dovrebbe. Ciò che è fuoricampo o semplicemente non esiste o è un ostacolo, un’eccezione che va riguadagnata, rimessa a norma nella legge della visione perfetta. Chris Kyle vuole vedere tutto. Per questo, in barba alle regole, tiene entrambi gli occhi aperti mentre spara: per recuperare, nella prospettiva binoculare, porzioni di spazio e di imprevisto altrimenti condannate al buio. Cecchino 3D. In effetti, Chris Kyle sa meglio e prima di chiunque altro, prima di noi, prima di Eastwood, quale sia il limite soggettivo e oggettivo di un tiratore scelto: il non aver altra prospettiva al di fuori del bersaglio. E per questo la sua ossessione è di ampliare il più possibile il raggio dello sguardo. Anche a costo di lasciare la posizione, cambiare a più “riprese” il punto di osservazione. Sì, è chiaro, come è stato messo in evidenza, che siamo già di fronte a una macchina cinematografica. O a un’altra manifestazione di quel grande mito moderno del Panopticon/Leviatano – e che differenza c’è, in questo senso, tra Kyle ed Edgar Hoover? Nessuna –. Ma non è la metafora nascosta nell’ottica dello shooter ciò che qui davvero conta. Almeno non solo. Il fatto è che Chris Kyle, oltre a veder tutto, vuole essere dappertutto. Sul tetto a vegliare sui compagni in campo, per strada a insegnare i trucchi del mestiere e a dar la caccia ai selvaggi. Sempre al centro dell’azione. E come sospinto dalla sostanza adrenalinica, sembra riuscirci. È onniveggente e onnipresente. E sul campo di battaglia è invincibile, inscalfibile, immortale. Qualità più simili al divino che all’umano. E sono queste qualità, questi “poteri straordinari” a fare di Kyle una leggenda, un eroe “mitico”, all’antica. Un vincitore, un prode combattente, “nobile per valore, ingegno e abilità”, un “servo” (etimologicamente parlando) e quindi un protettore dei suoi compagni. Al di là dello schieramento, al di là delle valutazioni morali e delle sovrastrutture ideologiche della giusta causa. Si parteggi per i greci o per i troiani, Achille ed Ettore rimangon pur sempre eroi. E che ci muoviamo in una bolla del tempo rimasta legata a una morale antica, lo confermano tutti: a cominciare da Marc, il “dubbioso”, che, senza pensarci su, richiama la lex talionis e la necessità della vendetta: “si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto”.

 

bradley cooper in american sniperLa guerra, quale essa sia, ci proietta millenni addietro, all’Antico Testamento? Probabile, ma neanche questa è l’intuizione decisiva di Eastwood. Il fatto è che per lui non è questione di dubitare della vocazione del personaggio, stabilire se stia dalla parte del torto o della ragione (“i meriti non c’entrano in queste storie”), come pretenderebbero i servi di partito. Lo statuto eroico di Kyle è un “dato”, gli è stato consegnato come tale, con tutto il suo carico di suggestioni e di cliché: kalòs kai agathòs… E il punto allora sta nel capire quale sia il senso di questo “eroismo”, oggi, quanto questo sistema valoriale che affonda le sue radici nei millenni possa reggere il confronto con il relativismo moderno e, soprattutto, con la prefabbricazione spettacolare ed economica degli ideali, delle morali, delle lotte di civiltà, presunte o reali poco importa. Perciò Eastwood prova a raccontare la costruzione (e la caduta) di una leggenda. E sarebbe, allora, affascinante interpretare American Sniper come l’ennesima declinazione di un film Marvel, con il supereroe che acquisisce i poteri e si ritrova a dover convivere con il peso delle responsabilità che ne conseguono. “Chi è la leggenda? È un titolo che non ti auguro”. Kyle come Spiderman, delirio sonoro compreso.

 

american sniperRovesciando uno degli interrogativi morali più importanti, “come si filma il nemico”, Eastwood si chiede come filmare “l’amico”. Forse perché i suoi occhi da vecchio saggio non sono più in grado di distinguere con certezza i nemici. E la sua risposta è assurda, spiazzante, meravigliosa. Ne accetta completamente il punto di vista. E perciò, esattamente come fa Kyle, prova a eliminare il fuoricampo, la controparte, le sue ragioni e la sua umanità. Ma, a tratti, si discosta da quella prospettiva, fino a ribaltarla di 180 gradi. Come in quella sequenza iniziale, in cui prima vediamo l’obiettivo del cecchino e poi il suo occhio ingigantito dal mirino. Kyle diventa il controcampo, il bersaglio di un’osservazione ossessiva, che cerca di valutarne tutti i punti deboli, i tentennamenti, gli scricchiolii. L’occhio di Eastwood sembra sommarsi alle paure di Taya, ai dubbi di Marc, all’orrore del fratello Jeff. E obietta all’idealismo granitico la crudezza ingestibile del reale, sin nelle minime cose del quotidiano (lo stacco su Taya che vomita dopo i complimenti di Kyle “sei molto carina, sei dolcissima”…). E seppur l’eroe non cede, non crolla, la sua solitudine resta incolmabile. È davvero rivelatore, come dice Sergio Sozzo, che l’unica citazione immediata, diretta, chiara e riconoscibile sia quella di Bradley Cooper ripreso di spalle dalla cornice della porta di casa. L’eroe più testardo, cupo, fragile e solo di John Ford (il cui occhio brilla su tutto il film), forse dell’intera storia del cinema: Ethan Edwards di Sentieri selvaggi. Kyle è un altro alieno, riapparso in una fenditura del tempo sbagliata, il segno di un vecchio mondo buono solo per i tempi di guerra, ma inadatto ai sogni di pace. Senza più famiglia e senza più Dio, smarrito nella polvere della strada. Resta la patria, forse, l’idea di una nazione da costruire e difendere. Ma se a sparare è il fuoco amico…

La leggenda dell’eroe è solo una tragedia individuale. Questo è il disperato, ma misericordioso umanesimo di Eastwood, come sempre riemerso dalle pieghe de Gli spietati, Cacciatore bianco, cuore nero, Mezzanotte nel giardino del bene e del male. Affonda il colpo nella retorica dei racconti e delle immagini, nelle regole narrative della Storia e del mito, nell’illusione delle “visioni da condividere” e nella cieca intelligenza dei critici. Il suo cinema testimonia la dissolvenza in nero dell’epos. Accusarlo di propaganda, oggi, vuol dire avere la stessa prospettiva obbligata del cecchino. Significa non ricordare quella bandiera a stelle strisce che campeggia dietro il volto sfigurato dall’odio di William Munny, mentre urla all’ignoto: “torno e vi ammazzo tutti, figli di puttana”.

 

“Ora a un’angoscia infinita e ad intollerabili pene

soggiaccio, odiando le gelide strade del mare

solcar con la nave, odiando il momento che in lidi terrestri

sbarchiamo, perché dappertutto vi sono genti nemiche”

(Apollonio Rodio, Argonautiche)

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