AMERICAN SNIPER – Inferno sonoro

bradley cooper in american sniper

E' anche il suo Black Hawk Down, delirio sensoriale, continuamente amplificato dal rumore degli spari, degli elicotteri che diventano per il protagonista quasi una dipendenza. Dove Siegel incrocia Minnelli e Gunny è come in una continua dissolvenza incrociata con I ponti di Madison County. Dove anche solo i suoni possono essere tutto il racconto di una vita. Come tutto il cinema di Clint.

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bradley cooper in american sniperC'è qualcosa nella testa del cecchino Chris Kyle. Come un rumore continuo che interferisce e altera i suoi pensieri mentre è in azione. Non sempre si può sentire. Certe volte oltrepassa lo schermo, altre no. Ma è forse lo stesso che attanagliava gli eroi eastwoodiani nei film interpretati per Don Siegel, dall'ispettore Callaghan al caporale nordista Jonathan McBarney fino al mercenario texano Hogan di Gli avvoltoi hanno fame. Da Siegel a Eastwood. Da Eastwood a Kevin Costner (Un mondo perfetto) e Bradley Cooper (American Sniper). Eroi solitari, dove lo sguardo schizza appena percepisce il rumore e quindi il movimento. Non si sentono ma si avvertono i pensieri di Kyle già nell'inquadratura iniziale dopo che ha puntato l'obiettivo. Il dettaglio è sull'occhio, ma è l'orecchio che direziona quello che deve vedere.

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American Sniper è da una parte il Black Hawk Down di Eastwood. Autentico inferno sonoro, continuamente amplificato dal rumore degli spari, degli elicotteri che diventano per il protagonista quasi una dipendenza. Ronzano e continuano ad ossessionargli in testa. Ma al tempo stesso, il suono diventa puro elemento sensoriale nei due strepitosi momenti della telefonata interrotta tra Kyle e la moglie. Lo spettatore vede quello che sta accadendo. Lei no. Ma al tempo stesso Clint fa esplodere l'anima mélo, quasi l'altra identità di questo film, l'altra faccia di quella bellica. E si tralascia quello che avviene nello schermo per entrare istintivamente nella testa di Taya e condividere con lei quella conversazione interrotta, quei presagi di morte.

sienna miller in american sniperAmerican Sniper potrebbe vivere anche solo di suoni. I momenti della vita di Chris potrebbero essere segnati da quelli più importanti. Dalla caccia al cervo fino ai passi del finale quando sta uscendo da casa. E sono quelli con cui Eastwood costruisce in modo esemplare la sua dipendenza. Tutto è nella sua testa. Dai suoi silenzi quando è circondato dalla famiglia ma si trova davanti alla tv spenta (dove l'audio con tutto ciò che gli sta attorno sembra essere staccato) o al contrario, dalla drammatica ricerca di un suono che serva come contatto presente in una delle scene più potenti del film, quella in cui cerca di indicare all'infermiera che la figlia appena nata sta piangendo ma lei non la sente. L'ospedale sembra diventare il campo di battaglia. Come in quelle scene di un'improvviso boato a cui segue un assordante mutismo, silenzio, vuoto. Ancora segnali di morte.

La guerra però Chris se la porta in testa. E non riesce più a distinguere ciò che avviene nella missione in Iraq rispetto al giardino di casa sua. Ed è qui che American Sniper diventa opprimente delirio sensoriale, dove i rumori si attaccano al cervello come in Coppola (Apocalypse Now) e la Bigelow (Strange Days, The Hurt Locker) e restano addosso al personaggio e allo spettatore insieme. Il tagliaerba, la festa dei bambini sono altri bombardamenti. Che non si possono più distinguere, né separare da quelli della sparatoria in mezzo alla polvere dove Kyle viene tratto in salvo in uno squarcio che rimette in luce la purezza di un cinema che punta all'essenza e va dritto alla testa. In American Sniper Siegel incrocia Minnelli e Gunny è come in una continua dissolvenza incrociata con I ponti di Madison County. Dove anche solo i suoni possono essere tutto il racconto di una vita. Come tutto il cinema di Clint.

 

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