ANGELI DELLA PRIMA E ULTIMA VOLTA

Cosette varie, tratte dal mondo dell'accorgersi. Correzioni di sguardi sull'esistere. Meraviglie alla ricerca di Alice perduta. Salvataggi in extremis sull'altra riva, ingiustizie da correggere e parole da trasformare in esperienza da provare. Il blog di Angelo Orlando su Sentieri selvaggi 

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Il mondo è fatto a scale di Piero Natoli L’ultima volta. La prima volta.

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Ci sono angeli e angeli.
Esiste un angelo dell'ultima volta così come esiste un angelo della prima. Ci accompagnano e ci proteggono gli addii. Ci custodiscono gli inizi. Loro lo sanno che quella è l'ultima volta. Noi molto spesso no. La prima volta. Quella dovremmo ricordarcela, ma troppo spesso non ce ne accorgiamo. Sto parlando di ogni prima volta della nostra vita. Esistono le prime volte da soli e le prime volte condivise. Molte delle nostre prime volte da soli le abbiamo lasciate oltre i ricordi di una vita che quasi non sembra la nostra. Appartengono all'infanzia. La prima volta che sei entrato al circo. La prima volta che hai fatto il bagno da solo nella vasca. La prima volta che hai mangiato un kiwi. Gli angeli della prima volta per le coppie poi sono quelli che preferisco. Si dividono i compiti. Sono tutti diversi. Arrivano, mettono il sigillo luminoso della prima volta e aspettano di vedere se tutto va bene. Poi se ne vanno perché sono grandi lavoratori, sono tante le prime volte del mondo e ci sono sempre meno angeli e sempre più umani. 
La prima volta che sei andato al cinema con lei; la prima volta che si è seduta dietro di te sulla moto e ti ha stretto le braccia forte, appoggiando la testa e il petto alla tua schiena… e ancora… la prima volta che avete mangiato insieme gli spaghetti alle vongole al mare. Quanti angeli che abbiamo fatto lavorare. Quanti angeli che abbiamo lasciato disoccupati. Eh… esistono anche gli angeli delle prime volte mancate. Sono un po' tristi. Sono angeli in cassa integrazione. Aspettano con un'aria assente e scattano in piedi per un nonnulla, al primo soffio di vento perché pensano che sia una chiamata per loro. 
Gli angeli dell'ultima volta sono dei veri professionisti. Arrivano con la valigetta, pronti per rincuorare, rigenerare, non far pensare troppo, distrarre, alleviare il dolore, far voltare pagina subito se è necessario, dar forza e tante altre cose che adesso sarebbe troppo lungo elencare. Gli angeli dell'ultima volta hanno libertà d'azione. Possono prendere anche la decisione di sussurrare parole alle orecchie e suggerire quello che bisogna dire o che bisogna fare. Per ascoltarli però, bisogna stare molto attenti. Le ultime volte, a meno che non siano dichiarate, difficilmente si fanno riconoscere.
 
Piero NatoliVe lo ricordate Piero Natoli? Era un attore e regista straordinario. Quando lo incontravi per strada difficilmente riuscivi a scappare dai suoi racconti e dalla sua parlantina. Mi faceva sempre piacere imbattermi in lui. Non serviva darsi un appuntamento con Piero. Piero lo incontravi. E io lo incontravo ovunque e nei posti più diversi. Una volta a Roma lo vidi alle tre del mattino a piazza Farnese. C'era solo lui. Ed era seduto su una sedia. La piazza vuota e lui, con lo sguardo leggermente appannato, seduto su una sedia.
"Siediti!" Mi disse. 
Io gli risposi: "Piero… dove mi siedo? Ma dove l'hai presa 'sta sedia?" 
"No perché questi pensano che noi siamo tutti dei  coglioni…"
E cominciò a parlare di quello che per lui era il proseguimento del suo discorso interiore, dando per scontato che io lo avessi seguito fino al punto in cui i suoi pensieri si stavano trasformando in parole. Così era Piero. Una volta che Piero attaccava a parlare, non c'era appello, il tempo si dissolveva e non riuscivi più a staccarti. Le sue parole ti si attaccavano addosso e potevi accorgerti della sua felicità dell'abbandonarsi a intere elucubrazioni che poteva finalmente estrarre dalla sua mente e finalmente dirle a un amico. Ero molto affezionato a Piero Natoli e i primi anni senza di lui, Roma non era più la stessa. Ogni tanto mi sembrava di riconoscerlo e ogni sera che tornavo a casa mi sentivo vuoto perché non lo avevo incontrato. Era strano non incontrare Piero. 
Il giorno prima che se ne andò senza fare i bagagli, lo vidi a Trastevere. Lui non mi vide. Avevo fretta. Cambiai strada. Mi dissi che non avevo tempo per fermarmi ad ascoltarlo. Diedi per scontato che ci sarebbe stata una prossima volta. Invece, in quell'istante arrivò l'angelo dell'ultima volta. Non lo riconobbi. Non mi accorsi della sua presenza e lo lasciai lì, con la sua valigetta chiusa a guardarmi andar via. Non sapevo che quello era l'ultimo giorno sulla terra di Piero. Del resto non posso sapere neanche se questo è il mio ultimo istante.
Da quel giorno, sto molto attento all'ultimo sguardo che do a un amico quando lo saluto o a chiunque mi senta legato da profondo affetto.

L’ultima volta è l’ultimo sguardo dopo il saluto. L’altro se ne va. Vi siete già salutati, abbracciati, baciati e ormai ognuno di voi appartiene a se stesso. È un attimo, qualcosa ti spinge a fermarti e ad alzare gli occhi. 

"Sei lì?"
Hai bisogno di quell’ultimo sguardo. Lo devi vedere di spalle mentre si allontana. Hai bisogno di vederlo scomparire lontano, girare l’angolo di quel palazzo, infilarsi nella sua macchina. Senti il desiderio di essere lì con lui perché la separazione non sia troppo completa. È l’ultima volta che lo vedrai. Devi ascoltare il silenzio perché è lì che cominci tu. 
Stanotte, come mille sere così, mille notti passate a non pensare, a cercar di fuggire e ad illudersi che il tempo possa compiere il miracolo di ritardare ciò che il destino ha già presentato. E ogni secondo che passa, è un regalo in più.

 

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