Appuntamenti al Cinema Trevi

Dal 30 ottobre al 1° novembre

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CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

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Cinema Trevi (Vicolo del Puttarello 25 Roma)

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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venerdì 30
(In)visibile italiano: Nino Zanchin, il fascino dell’esotico
Professione aiuto regista: quanti grandi personaggi del cinema italiano (Rinaldo Ricci, Mario Maffei, Maurizio Mein, Franco Cirino, Tony Brandt, Roberto Pariante), autentici testimoni della storia del nostro cinema, hanno legato il loro nome alle fortune autoriali di altri? Rimanendo, però, depositari, oltre che di significative esperienze, dei segreti di un mestiere attorno al quale ruota la vita di un intero set. Nino Zanchin ha legato il suo nome, in particolare, al cinema di Pietro Germi, con il quale ha collaborato in opere fondamentali come Il ferroviere, L’uomo di paglia e Un maledetto imbroglio. È stato al fianco di Jules Dassin nella travagliata lavorazione de La legge e ha poi affiancato grandi “mestieranti” come Carlo Ludovico Bragaglia, Sergio Corbucci, Camillo Mastrocinque, Duccio Tessari, Lucio Fulci, Sergio Sollima e autori come Florestano Vancini (La banda Casaroli) e Luigi Comencini (La bugiarda). Esperienze che ha fatto valere nel passaggio alla regia, in una breve stagione a cavallo degli anni Settanta, che merita oggi di essere riesaminata per varie ragioni. Per la formula realizzativa, coproduzioni internazionali orchestrate da abili produttori come Salvatore Alabiso (La lunga sfida) e Alberto Grimaldi (Rebus), quindi grandi cast e ambientazioni esotiche, che costituiscono il marchio di fabbrica di Zanchin regista. Si muove dal Marocco alla Tunisia, passando per il Libano, con uno sguardo sempre attento alla realtà locale – politica, religiosa e sociale –, uno sguardo partecipe, per nulla “occidentalizzato”, ben lontano dagli sguardi pruriginosi dei mondo-movies. Zanchin racconta storie con mestiere (quello appreso da grandi registi e trasformato in una lezione vitale) e senso della narrazione, non disdegnando, anche quando abbraccia trasversalmente i generi, di soffermarsi su aspetti meno accattivanti per lo spettatore medio. Con il risultato di non sfondare al botteghino, condannandosi quindi alla fine della carriera di regista, ma anche di consegnarci film che rimangono e spiccano, nel cinema del periodo, per una loro irriducibile, esotica (e non solo) originalità. Vedere Perché (noto anche come I figli chiedono perché) che non potrà non suscitare profonde riflessioni, in tempi in cui l’integrazione è diventata un’utopia.
 
ore 17.00
Perché (1972)
Regia: Nino Zanchin; soggetto e sceneggiatura: Suso Cecchi d’Amico, N. Zanchin, Bendicò [Silvia d’Amico Bendicò]; fotografia: Eliseo Caponera; musica: Ennio Morricone; montaggio: Attilio Vincioni; interpreti: Susanna Melandri, Habib Namouchi, Rosemarie Dexter, Umberto Orsini, Mohamed Bosif, Henda Bellgho; origine: Italia; produzione: Istituto Luce; durata: 103’
Una bambina ebrea, figlia di un ricco ingegnere, diventa amica di un bambino arabo, che le fa scoprire un mondo diverso dal suo, più affascinante di quello a cui è abituata. I due bambini si sposano e decidono di andare a vivere in una casa sulla spiaggia, ma le notizie di una guerra imminente spingono il padre a lasciare il paese. La bambina si ribelle. Film di grande attualità che «ha tutte le carte in regola per ottenere consensi anche da un pubblico adulto. […] Raccontato con i moduli della favola, ma inserito nel contempo in una realtà politica e sociale di vita attualità, il film sviluppa due temi ben precisi: l’uguaglianza delle razze e la possibilità di un loro incontro sul piano dei sentimenti più genuini» (L. S., «Il Popolo»). Bellissima l’ambientazione tunisina. Da segnalare la presenza di Tarek Ben Ammar, assistente alla regia.
 
ore 19.00
La lunga sfida (1967)
Regia: Robert Andrews [Nino Zanchin]; soggetto e sceneggiatura: Fernando Di Leo, N. Zanchin, Alberto Cavallone; fotografia: Franco Delli Colli; scenografia: Saverio D’Eugenio; musica: Marcello Giombini; montaggio: Daniele Alabiso; interpreti: Giorgio Ardisson, Luigi Pistilli, Kattrin Schaake, Charaibi Ben Bensalem, Sieghardt Rupp, Marco Stefanelli; origine: Italia/Germania; produzione: Tritone Filmindustria, Rapid Film; durata: 89’
«Memore degli insegnamenti del suo maestro, Pietro Germi (di cui Zanchin era stato aiuto regista in Il ferroviere, L’uomo di paglia e Un maledetto imbroglio), Robert Andrews, alias Nino Zanchin, inscena una vorticosa lotta all’ultimo colpo fra due bande di contrabbandieri di droga e come in In nome della legge emerge a sorpresa il ritratto di un criminale dal cuore d’oro. In un Marocco non meno aspro e polveroso della Sicilia rappresentata da Germi, l’europeo Paynes (uno straordinario Luigi Pistilli) si scontra contro il reietto locale Blal (Charaibi Ben Bensalem), tentando con ogni mezzo di far uscire dai confini del paese 100 chili di hascisc. Blal, che non solo gestisce il traffico di droga, ma fissa il prezzo sull’intero mercato interno, si oppone utilizzando i medesimi metodi di Paynes. Una lunga sfida, come recita il titolo, in mezzo alla quale si viene a trovare («tra l’incudine e il martello») un ingegnere dell’Unione forestale, Bruno Pasquet (Giorgio Ardisson), che ha il privilegio con la sua jeep di passare i posti di blocco senza essere perquisito dalla polizia. […] Colpi di scena, omicidi, scambi di persona: la sceneggiatura di Di Leo, Cavallone e dello stesso Zanchin non si fa mancare nulla tenendo gli spettatori (pochi per la verità, all’epoca) con il fiato sospeso. Di Leo fa le prove per il suo cinema d’azione a venire, giocando sulle gradazioni fra bene e male e riproponendo certi cliché del western all’italiana, allora in voga. Meno individuabile l’apporto di Cavallone, se non per l’esotismo (di erotismo nemmeno l’ombra) in cui è avvolta l’intera vicenda, mentre Zanchin […] esordisce alla regia dimostrando grande mestiere e soprattutto la giusta sensibilità per coniugare il cinismo dell’intera vicenda con la delicatezza necessaria per rappresentare il mondo dell’infanzia» (Napoleone Wilson, «Nocturno», 2007).
 
ore 21.00
Rebus (1968)
Regia: Nino Zanchin; soggetto: Piero Catella; sceneggiatura: Sergio Donati, José G. Maesso, Mario Rossi, Leonardo Martin, Manfred R. Köhler; fotografia: Cecilio Paniagua; scenografia: Giantito Burchiellaro; costumi: Francesca Serano; interpreti: Laurence Harvey, Ann Margret, Pepe Calvo, Ivan Desny, Camilla Horn, Alberto De Mendoza; origine: Italia/Spagna/Germania; produzione: P.E.A., Tecisa Film, Rapid Film; durata: 80’
Jeff Miller, un croupier con il vizio della bottiglia, viene ingaggiato al Casinò di Beirut, dove il suo predecessore ha fatto una brutta fine. Ben presto si rende conto che le cose non girano per il verso giusto: una potente organizzazione ha architettato un piano per sbancare il casinò. Miller fa di tutto pur di smascherarla… Quando, come cantava Rino Gaetano: «chi parte per Beirut e ha in tasca un miliardo», bella vita, belle donne (la splendida Ann Margret), in un pellicola che riecheggia i coevi film spionistici e offre a Zanchin l’occasione per l’ennesima variazione sul tema dell’esotismo. Trama serratissima e complicatissima, sostenuta da un grande cast, dove spicca, oltre al protagonista Laurence Harvey, la brava Camilla Horn, che ci regala una folgorante battuta: «La mia faccia non mi assomiglia», dietro la quale si cela la soluzione del rebus.
 
sabato 31
Eccentrico italiano: il cinema secondo Adriano Celentano
Primo appuntamento di una serie di omaggi al cinema italiano visionario, bizzarro, transestetico, folle. Come per (In)visibile italiano, si cercherà di far riemergere dal buio opere ingiustamente misconosciute, ingiustamente dimenticate, a volte frettolosamente giudicate con pregiudizi ormai datati. Ma ancor più di (In)visibile italiano cercherà di essere trasversale superando la vetusta barriera tra cinema d’autore e cinema di genere. Filtro selettivo per questo nuovo appuntamento è appunto la natura eccentrica, visionaria, sperimentale dell’opera, che pone spesso lo spettatore di fronte a una riflessione che non trova risposta, ovvero: «A che cosa sto assistendo?!». Si è deciso di cominciare proprio con Adriano Celentano tra i personaggi eccentrici più celebri e che nei film da lui scritti, diretti e montati ha dato prova di una visione gioiosamente folle del cinema, che coniuga volentieri l’avanguardia insieme allo sberleffo, la comicità surreale con le estasi mistiche (il cine-monstrum megalomane Joan Lui – Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì, il bizzarro Geppo il folle), l’autobiografismo delirante con visioni pop degne di un Tinto Brass (Yuppi du). A proposito di quest’ultimo film la versione è quella originale e non quella recentemente “ritoccata” dal Molleggiato. Piaccia o non piaccia i film diretti da Adriano Celentano rappresentano un unicum inimitabile, un labirinto visionario dove il basso si mescola con l’alto per dare infine origine a una visione del mondo profetica e per nulla banale. Basti pensare che Yuppi du, selezionato al Festival di Cannes, era anche un musical che attaccava le ingiustizie sociali e denunciava con netto anticipo le morti bianche e i veleni tossici del Petrolchimico di Marghera.
 
ore 16.45
Joan Lui – Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì (1985)
Regia: Adriano Celentano; soggetto e sceneggiatura: A. Celentano; fotografia: Alfio Contini; scenografia: Lorenzo Baraldi; costumi: Elena Mannini; musica: Pinuccio Pirazzoli, Ronald Jackson; montaggio: A. Celentano; interpreti: A. Celentano, Claudia Mori, Marthe Keller, Federica Moro, Edwin Marian, Gianfabio Bosco; origine: Italia/Germania Occidentale; produzione: C.G. Silver Film, Alexandra Film, Extra Filmproduktion; durata: 146’
«Trash-cult-kolossal e totale disastro per Adriano Celentano, piccolo Kubrick dell’impresa alla sua ultima opera da regista. Un film sul ritorno di Cristo, interpretato da Celentano stesso, ai giorni nostri. […] Celentano voleva fare Joan Lui da anni, ma i Cecchi Gori prendevano tempo. […] Già in fase di riprese scoppia l’inferno. Le decine di ballerine e ballerini chiamati dall’America per il primo musical italiano stanno settimane senza far nulla a Roma e pesano sul budget. Il Maestro non riesce a controllare il proprio film, che deve essere in sala in tutta Italia il 25 dicembre, giorno della nascita del vero Lui. Per abbreviare i tempi di montaggio i produttori, alla fine, tolgono di mano i rulli del premontato a Celentano e li fanno stampare in stabilimenti diversi. Tre elicotteri e quattro aerei portano in tutta Italia le pizze del film a poche ore dal primo spettacolo. Joan Lui esce in una versione di quasi tre ore […]. È un disastro, i critici ci sguazzano, il pubblico fugge. Celentano chiede in tutti i modi di poter rimontare il film. I Cecchi Gori hanno preparato una versione più corta, due ore circa, a insaputa del Maestro e stanno già facendo il cambiamento delle pizze in sala. […] Scoperta la sòla grazie a una soffiata di un fan, Celentano chiede il sequestro immediato del film e dieci miliardi di danni ai Cecchi Gori per avergli rovinato l’opera d’arte e la reputazione. […] Grazie all’interesse di Felice Laudadio è stato riproposto a Milano nell’agosto 1996 in edizione integrale. Forse era davvero un capolavoro» (Giusti).
 
ore 19.30
Geppo il folle (1978)
Regia: Adriano Celentano; soggetto e sceneggiatura: A. Celentano; fotografia: Alfio Contini; scenografia: Enrico Tovaglieri; costumi: Elena Mannini; musica: A. Celentano, Anthony Rutheford Mimms; montaggio: A. Celentano; interpreti: A. Celentano, Claudia Mori, Miki Del Prete, Jennifer [Chantal Benoit], Pietro Brambilla, Marco Columbro; origine: Italia; produzione: Clan Celentano Produzioni Musicali e Cinematografiche; durata: 115’
«È un gran peccato che in Italia siano stati aboliti i titoli nobiliari: Adriano Celentano sarebbe almeno baronetto come i Beatles, e a furore di popolo. Riesce infatti difficile prevedere che il pubblico, soprattutto giovanile e d’udito forte, non faccia festa a questo film matto come il protagonista, con cui lo stesso Celentano s’identifica, e dove antichi e recenti modelli di cinema (dal film-rivista al disco-musical), fusi con umoristica sciatteria, concorrono nella frenesia del rock a uno spettacolo, assolutamente intollerabile ai dispeptici, che rompe la monotonia di quelli solitamente inflittici dagli italiani sugli schermi. Nessuno dice che Geppo il folle è un capo d’opera. Si dice soltanto, e non è affatto poco a questi scuri di luna, che talvolta è un tale delirio di immagini e frastuoni da elettrizzare anche i nonnini. D’un autosarcasmo che compensa l’irritazione per l’esibizionismo di Celentano, e tanto scombiccherato da rispecchiare allegramente la nostra schizofrenia. Chi è Geppo? Un cantante milanese spavaldo e megalomane, che si considera il più forte del mondo, pari soltanto a Barbra Streisand, adorato dalle folle e servito come un re. Appunto volendo andare in America a cantare con la Streisand, prende lezioni d’inglese da una Gilda che per ora lo smusa e lo sfotte, a differenza di quante, appena lo vedono, svengono d’amore. Ma Gilda non è la sola a non lasciarsi incantare […]. Il filo vago del racconto, e l’eventuale autocritica cui Celentano si abbandona giocando col proprio mito […], sono meno interessanti della struttura dissociata del film, di quel cocktail di goliardia, scemenza e talento che evoca un surrealismo da balera ma anche certe memorie del cinema d’avanguardia (una mucca in salotto, una caffettiera semovente…). Cui corrisponde uno stile – persino il montaggio è molleggiato – che sublima il pasticcio nell’estasi manicomiale, con zoommate a ritmo di musica, obiettivi deformanti, inquadrature sbilenche» (Grazzini).
 
ore 21.30
Yuppi Du (1974)
Regia: Adriano Celentano; soggetto: Alberto Silvestri; sceneggiatura: A. Celentano, Micky Del Prete, A. Silvestri; scenografia: Giantito Burchiellaro; costumi: Elena Mannini; musica: A. Celentano; montaggio: A. Celentano; interpreti: A. Celentano, Claudia Mori, Charlotte Rampling, Lino Toffolo, Gino Santercole, Memo Dittongo; origine: Italia; produzione: Clan Celentano Films; durata: 132’
«Adriano Celentano, divo della canzone, è da oggi un autore di cinema. Sono forse il primo a stupirsene, ma è così. È un autore “serio”, da accogliere con soddisfazione, senza troppe riserve, Yuppi Du lo laurea, lo consacra. Non è un film perfetto, intendiamoci, ma è un film ricco, composito, estroso, con un senso felicissimo dello spettacolo, sia musicale sia teatrale; e con molte intuizioni cinematografiche, linguistiche, tecniche. Sovrabbondante di riferimenti e di citazioni, se vogliamo, ma anche personale, specie nella misura in cui il ricordo di altri autori e di altri generi si sposa con la concezione unitaria di una “rappresentazione” che, nonostante la varietà di ispirazioni, diventa spettacolo a sé. Cosa è Yuppi Du? Il primo musical della storia del cinema italiano? Anche, ma sarebbe troppo facile ridurlo a questo. Certo, qua e là si canta e si balla, ma di sfondo, quando all’improvviso l’azione finisce in palcoscenico o quando un personaggio vi si inserisce più logicamente con il canto che non con le parole; sono, però, solo momenti, passaggi; il musical, semmai (anzi la musica, quella pop), è l’anima segreta del film, il suo retroterra umano e culturale; da cui scaturiscono la lettera, il tono e il gusto del racconto e, subito dopo, i modi della sua “messa in scena”. Cosa è questo racconto? […] Un uomo, credendo che la moglie sia morta suicida, ne sposa un’altra. Ma la finta suicida, non volendo più vivere con lui perché era povero, era invece andata via con un ricco; tornata di sfuggita, l’amore fra i due divampa di nuovo […]. Le pagine migliori? Le nozze di lusso con l’intrusione in chiesa di quella singolare corte dei miracoli alla Bunuel in mezzo alla quale vive il protagonista, il racconto tutto Arrabal della violenza patita da una delle donne del gruppo, la morte dell’operaio nel cantiere, con echi di Brecht, il duetto d’amore fra il protagonista e la prima moglie sulla Torre de Mori in Piazza San Marco che si regge in equilibrio fra il musical americano del’60 e una sua segreta parodia latina; senza dimenticare quella cornice veneziana di sfondo, fatiscente, corrosa, vista insolitamente fra le erbe, i campi, i giardini, ora tutta dal vero (con gli occhi di Tinto Brass), ora con sapore malizioso di palcoscenico, “luogo deputato” per un balletto o una scena madre» (Rondi).
 

domenica 1
Eccentrico italiano: il caso Augusto Tretti
«Do un consiglio a tutti i miei amici produttori: acchiappate Tretti, fategli firmare subito un contratto, e lasciategli girare tutto quello che gli passa per la testa. Soprattutto non tentate di fargli riacquistare la ragione; Tretti è il matto di cui ha bisogno il cinema italiano». Parola di Federico Fellini, uno dei grandi maestri del cinema italiano che salutò con ammirazione l’esordio, assolutamente autarchico (prima di Moretti…), di Augusto Tretti, il più originale e stravagante regista italiano.
La sua carriera, racchiusa in un pugno di film (3 e ½: La legge della tromba, Il potere, il film su commissione Alcool e il cortometraggio per la Rai Mediatori e carrozze), si dispiega in un lasso di tempo molto ampio, 25 anni (e anche oltre, se consideriamo i progetti irrealizzati). Tutto ha inizio nel 1960, quando il giovane regista, con la copia del suo primo film in mano, La legge della tromba, cala a Roma e organizza una proiezione per la critica. Riceve giudizi per una volta unanimi, ovviamente negativi, ma per sua fortuna Moravia lo invita a far vedere il film ai registi, non ai critici. Grazie a questa intuizione dello scrittore esplode a Roma il caso Tretti, un marziano sceso dal Veneto (Tretti è nato a Verona nel 1924) nel mondo dei cinematografi e subito adottato da Fellini, Flaiano, Antonioni, Tonino Guerra e molti altri, che si prodigano per consentirgli di girare un film con una struttura produttiva alle spalle. La Titanus addirittura, grazie a Goffredo Lombardo, che dopo aver accettato di distribuire La legge della tromba («Questo film lo piglio io, lo mando a Milano e se non vogliono compro il locale»), fa firmare al regista un contratto per un nuovo film. Ha inizio da questo momento una delle più lunghe avventure produttive del cinema italiano, perché il secondo film di Tretti, Il potere, vedrà la luce solo dieci anni dopo, a causa del fallimento della Titanus e ad altre vicissitudini. Inizio e fine di una carriera, ispirata da una passione sfrenata per il cinema e da un talento che solo i geni del cinema italiano hanno saputo veramente apprezzare. Per dirla con Flaiano Flaiano: «Lo si può, volendo, liquidare con due definizioni: goliardico, naïf. Alcuni lo fanno. Ma sono definizioni sbagliate. I gagliardi e i naïfs non hanno rigore, si fermano alle prime osterie, si divertono, riempiono le domeniche. Tretti non si diverte, benché sia difficile non divertirsi anche, vedendo i suoi film». L’invito alla visione è questa volta rivolto proprio ai critici e agli storici, affinché il nome di Tretti possa trovare il posto che merita nella storia del cinema italiano.
 
ore 17.00
Alcool (1979)
Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; musica: Eugenia Manzoni Tretti; interpreti: Mario Graziosi e attori non professionisti; origine: Italia; produzione: A. Tretti per l’Amministrazione Provinciale di Milano; durata: 100’
«L’idea di un film sull’alcoolismo nacque da un mio colloquio col professor Dario De Martis [Direttore dell’Istituto Psichiatrico di Pavia]. […] Scartai subito l’idea del film-inchiesta perché troppo facile e insoddisfacente dal punto di vista artistico, sforzandomi di filtrare i vari aspetti del problema in un film d’autore. Ho cercato di affrontare il tema con la maggior chiarezza e semplicità possibile, senza nascondermi dietro l’intellettualismo a ogni costo. […] Trattandosi di un film culturale, mi sono sforzato di conciliare la mia natura satirica con gli aspetti più apertamente didascalici del tema» (Tretti). «È un film, che si impernia sul personaggio di un fattorino che a furia di vedersi offrire il classico “bianchino” da ogni cliente, finisce per diventare un alcolizzato impenitente, è spesso francamente spassoso, soprattutto quando il regista parte dal “discorso sull’alcool” per disegnare quadri satirici di incredibile efficacia» (Crespi).
Per gentile concessione della Cineteca Italiana – Ingresso gratuito
 
ore 19.00
Il potere (1971)
Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; scenografia: Giuseppe Raineri; musica: Eugenia Manzoni Tretti; montaggio: Giancarlo Raineri; interpreti: Paola Tosi, Massimo Campostrini, Ferruccio Maliga, Giovanni Moretto, Diego Peres, A. Tretti; origine: Italia; produzione: Aquarius Audiovisual; durata: 83’
«Il potere è una rappresentazione didattica e grottesca della tirannia attraverso i secoli, dall’età della pietra a oggi: rivisita l’antica Roma, gli stermini perpetrati a danno dei pellerossa, il fascismo e gli anni che prelusero alla dittatura mussoliniana. Non c’è trama e non è il caso di dolersene. Sono ricchi a tener banco e a menar randellate sulla povera gente e sui suoi difensori […]. Il potere è un’opera di poesia, che dell’assunto politico fa la base per la realizzazione di una straordinaria “commedia dell’arte” cinematografica, la prima, forse, commedia dell’arte che possa ricordarsi nella storia del cinema italiano» (Bendazzi).
 
ore 20.45
Augusto Tretti: ritratto (1985)
Regia: Maurizio Zaccaro; durata: 18’
«Augusto Tretti, più di 60 anni. Intelligente, ironico, fantasioso, simpatico, pungente, autore di cinema forse troppo pungente forse un po’ scomodo. Quattro film in tutto. Vive da solo nella sua casa sul Lago di Garda: quasi nessuno lo conosce. Eppure…» (dalla presentazione del documentario).
Per gentile concessione della Cineteca di Bologna – Ingresso gratuito
 
a seguire
La legge della tromba (1960)
Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; musica: Angelo Paccagnini, Eugenia Manzoni Tretti; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Maria Boto, A. Paccagnini, E. Manzoni Tretti; origine: Italia; produzione: A. Tretti; durata: 75’
Un gruppo di amici tentano di compiere una rapina, ma vengono arrestati. Amnistiati, ottengono un poso di lavoro in una fabbrica di trombe… «La legge della tromba è il film più strabiliante che abbia mai visto, il più fuori dal comune» (Vancini); «Vengono in mente le fantasie di Charlot, i films di Tati, intere sequenze sono rette da un miracoloso equilibrio di ironia e di lirismo» (Zurlini); «In questo giovane e nel suo film c’è estro da vendere» (Antonioni); «È una piccola lezione di cui ammiro il candore e l’astuzia» (Flaiano).
Per gentile concessione della Cineteca Italiana – Ingresso gratuito
 
a seguire
Mediatori e carrozze (1985)
Regia: Augusto Tretti; soggetto e sceneggiatura: A. Tretti; fotografia: Maurizio Zaccaro; montaggio: M. Zaccaro; produzione: Società Editoriale G.B. Verci di Bassano per Rai 1; durata: 18’
Un insegnante di provincia si rivolge a un agente immobiliare per acquistare una casa, ma a causa al boom edilizio molti si sono improvvisati mediatori e non sempre i consigli sono quelli giusti… Il film è stato realizzato per la serie televisiva Di paesi e città.
Copia proveniente da Rai Teche – Per gentile concessione del Comune di Bassano del Grappa – Ingresso gratuito

 

 
venerdì 30 ottobre
(In)visibile italiano: Nino Zanchin, il fascino dell’esotico

ore 17.00 Perché (1972)

ore 19.00 La lunga sfida (1967)

ore 21.00 Rebus (1968)
 

sabato 31 ottobre
Eccentrico italiano: il cinema secondo Adriano Celentano

ore 16.45 Joan Lui – Ma un giorno nel paese arrivo io di lunedì (1985)

ore 19.30 Geppo il folle (1978)

ore 21.30 Yuppi Du (1974)
 

domenica 1 novembre
Eccentrico italiano: il caso Augusto Tretti

ore 17.00 Alcool (1979, 100’ )

ore 19.00 Il potere (1971, 83’ )
ore 20.45 Augusto Tretti: ritratto (1985, 18’ )
a seguire La legge della tromba (1960, 75’ )
a seguire Mediatori e carrozze (1985, 18’)
 

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