Asian Film Festival a Roma – Shuttle Life e Black Sheep

Due ritratti della società asiatica, una maltese e l’altra giapponese, che rappresentano con un tagliente realismo la crudeltà, la miseria e la povertà dei sobborghi asiatici. All’Apollo 11 di Roma

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In corso da giovedì all’Apollo 11, l’Asian Film Festival, dopo otto anni, torna a Roma, portando con sé i titoli più rappresentativi dell’edizione bolognese di maggio 2018 di cui abbiamo parlato QUI e QUI.

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Shuttle Life, film di debutto del regista maltese Tan Seng Kiat, mostra in modo quanto più verosimile uno spaccato di vita nella periferia di Kuala Lumpur, capitale della Malesia. In un amaro e duro crocevia di culture si muovono i suoi personaggi, in un mix di lingue tra il mandarino, malese e inglese in cui l’unico punto di contatto è la condizione di vita al limite della miseria. Con crudo realismo il regista conduce la propria denuncia sociale. Il protagonista è un giovane ragazzo costretto a portare tutto il carico della sua famig

lia sulle sue spalle forti e al contempo anche dolci ed affettuose. Sua madre è estremamente instabile a causa di disturbi psichici e la sorella invece ha solo sei anni ma aiuta come può suo fratello.

 

La vicenda si snoda proprio a partire da lei che perde la vita in un incidente stradale. Quando il fratello cerca di vedere il suo cadavere, gli viene impedito poiché la bambina non è mai stata censita all’anagrafe. Il film mostra la vita in un posto in cui non esistono più leggi né lavori, in cui la povertà ha spazzato via tutto e si è impadronita delle misere vite che tentano, invano, di salvarsi.

Ma i problemi domestici per colpa del denaro continuano a raccontarsi tramite le immagini del regista An Bon in Black Sheep. Questa volta però ci spostiamo a Pechino, in una realtà famigliare governata dalla violenza e dall’incomunicabilità. Il film ha come protagonisti un padre e un figlio, svuotati dalla povertà e privi di alcuno stipendio, dopo che il padre è stato licenziato. In una realtà dura in cui a rendere tutto più difficile c’è anche l’eterno conflitto privato. Solo dopo atti di profonda disperazione i protagonisti saranno disposti a mettere da parte il loro orgoglio e piano piano ad imparare a collaborare per riuscire insieme ad affrontare i problemi della vita.

In una Pechino grigia e sporca, nei sobborghi della grande capitale gremita di gente, padre e figlio cercheranno di barcamenarsi per trovare un lavoro e poter tirar su anche le loro vite. An Bon con la sua regia riesce a rendere l’idea della dimensione infinitesimale di queste esistenze, con le inquadrature larghe dell’esterno in contrapposizione con quelle iopprimenti e affollate dell’interno della casa ci trascina in questa costante sensazione altalenante tra la claustrofobia e agorafobia.

 

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