ASIAN FILM FESTIVAL 2018 – Deanie Ip e gli altri premi

Uno sguardo ai premi della rassegna di cinema orientale ospitata dalla Cineteca di Bologna, un filo rosso dedicato alle relazioni inter-personali, siano esse di natura familiare, amorosa o amicale

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Si è concluso ieri l’Asian Film Festival (21-28 maggio 2018) che, giunto alla sua quindicesima edizione, si è interamente svolto a Bologna nelle sedi del DAMSLab, dell’Auditorium e del Cinema Lumière.
Non sono mancate le novità. Oltre a proiezioni e incontri con registi e attori, sono stati organizzati alcuni eventi collaterali anche in collaborazione con l’Università di Bologna, come il convegno sull’evoluzione del cinema taiwanese a partire dagli anni Settanta. Del resto, tale cinematografia era già stata, proprio a Bologna nel giugno scorso, al centro delle iniziative del Taiwan Week che costituiva la prima parte dell’Asian Film Festival 2017.
Il Festival è diviso in tre sezioni: il Concorso che assegna premi rispettivamente al miglior film, alla migliore regia, al miglior attore, alla migliore attrice e al film più originale; la sezione Newcomers, dedicata ai registi esordienti o alla loro seconda opera e il Fuori Concorso, dedicato a registi già affermati e conosciuti dal pubblico.

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Il Premio per il miglior film è andato a Aqerat del malesiano Edmund Yeo che, dopo il documentario Yasmin san, si cimenta con una pellicola sulla persecuzione dei Rohingya, la minoranza musulmana che vive nel nord del Myanmar. Già vincitore del premio per la miglior regia al Festival del Cinema di Tokyo nel 2017, il film è in realtà ambientato al confine tra la Malesia e la Thailandia e ha come protagonista la giovane Hui Ling, desiderosa di ricostruirsi una vita a Taiwan ma priva di mezzi economici per poterlo fare. Sarà pertanto indotta a lavorare per un boss locale che commercia in corpi umani, nella fattispecie quelli dei Rohingya. Fin dal grandioso piano sequenza iniziale, il film si sviluppa come una lunga, inarrestabile discesa agli inferi in cui il regista si limita però a presentare ciò che accade senza giudizi individuali o moralismi (del resto il documentario è stato il primo genere cinematografico da lui sperimentato).
Il Premio per la miglior regia va al taiwanese The Last Verse (Tseng Ying-ting, 2017). Al centro la relazione tra Ren Jie e Xiao Ping duranta ben vent’anni. Ma i due giovani non riescono a difendere e salvaguardare il loro amore di fronte ai complessi problemi di natura sociale ed economica finendo per allontanarsi gradualmente uno dall’altro. Sembra che il tema della famiglia e delle complesse e molteplici difficoltà che s’incontrano nel tentativo di creare rapporti sempre più solidi e sicuri, costituisca il filo conduttore del cinema taiwanese degli ultimi anni. Basti pensare ad un’altra opera in concorso, Black Sheep di An Bon, un ritratto disperato di tre generazioni di uomini appartenenti allo stesso clan familiare che, per comunicare tra di loro, conoscono solo il linguaggio della violenza.
Il Premio come miglior attore è andato al giapponese Amane Okayama, uno dei protagonisti del film Love Disease (Yoshida Kota, 2018), una crime story tratta da vicende realmente accadute. Al centro c’è Emiko, una donna dai molti volti intorno alla

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quale si scambiano e si sovrappongono figure maschili ben poco esemplari: un marito violento, un ragazzino dal temperamento masochista, Amane Okayama appunto, oggetto di ogni sevizia fisica e psicologica da parte della ragazza e pronto a servirla a qualsiasi prezzo.
Per il film più originale il premio è stato vinto dal thailandese Malila: The Farewell Flower (Anucha Boonyawatana, 2017), un viaggio attraverso la memoria, una fuga da un presente doloroso e una riflessione sulla vita e sulla religione. Accanto ai protagonisti, ex amanti riavvicinatisi in un momento particolare della loro esistenza, affiora una natura cangiante e multiforme che accompagna i due uomini nella ricerca di se stessi e della loro più pro-fonda e interiore identità, e sembra quasi avvolgere la loro esistenza, non differenziandosi dalla loro stessa natura.
Il Premio come miglior attrice è andato a Deanie Ip in Our Time Will Come della cinese Ann Hui, un dramma di spionaggio, già presentato alla ventesima Far East Film Festival, ambientato nella Hong Kong occupata dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Deanie Ip – la signora Fong, madre della protagonista Fong Lan (Zhou Xun) – è un nome importante della cinematografia di Hong Kong nonché interprete di alcune delle scene più toccanti di quest’opera che insiste sulla drammatica esperienza della guerra vissuta in prima persona dalla gente comune e sulla lotta contro gli oppressori sullo sfondo di una valorosa città come Hong Kong che non rinuncia alla sua verve politica.

I due premi della sezione Newcomers sono invece andati al film filippino The Decaying (menzione ex equo), debutto come regista dello sceneggiatore televisivo Sonny Calvento e all’opera In Your Dreams dell’hongkonghese Tam Wai-ching.
Il primo, un thriller ispirato a una vicenda di cronaca realmente accaduta – l’assassinio di un cittadino americano accusato a sua volta di aver ucciso la moglie – apre una prospettiva più ampia sulle dinamiche della società filippina corrotta nelle sue istituzioni e intrisa di preconcetti; il secondo invece, ruota intono al tema dell’amore impossibile tra un giovane e la sua insegnante, una donna nel pieno di una crisi matrimoniale.
Tra i film fuori concorso ricordiamo The Third Murder di Koreeda Hirokazu, vincitore anche della Palma d’Oro al Festival di Cannes con Shoplifters, un ulteriore passo del regista in quell’indagine dell’animo umano a lui tanto cara.
L’elemento comune di fondo dell’intera manifestazione, il suo filo rosso per così dire, lo si può forse individuare nell’attenzione che il Festival ha dedicato alle relazioni inter-personali, siano esse di natura familiare, amorosa o amicale.
L’Asian Film Festival con i suoi 19 film in concorso e le sue 5 opere fuori concorso ha offerto un’interessante panoramica sul cinema dell’Estremo Oriente che ci auguriamo possa ripetersi e ampliarsi negli anni a venire.

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