“Aspirante Vedovo”, di Massimo Venier

aspirante vedovo
Metafora di quanto il nostro cinema non riesca proprio a seppellirla, la commedia all'italiana, e dichiararsi vedovo felice dell'intera tradizione. L'incubo immortale non fa che tornare, la battaglia è falsata, truccata, da sempre inutile da combattere:  gioca sempre in difesa, e soprattutto è piena di soldati armati e filologi sdegnati

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Quello di Massimo Venier è un tentativo di commedia sofisticata che farebbe volentieri, e ragionevolmente, a meno dell'intera eredità della commedia all'italiana, alla quale tra l'altro non è alla fine dei conti assolutamente legato se non per il richiamo nel titolo (che gli sta attirando strali di odio simili a quelli che massacrarono Amici miei di Neri Parenti, tanto che viene da stupirsi per quanti fan all'improvviso attentissimi abbia a sorpresa la pellicola originale). Somiglia infatti maggiormente ad un esperimento (non proprio convintissimo ahinoi) di commedia nera britannica (si veda ad esempio l'intera sezione della pianificazione e messa in atto dell'incidente-omicidio) girata come un fosse film di Fausto Brizzi (fotografia intarsiata e articolata, interpreti tutti concentrati, struttura cangiante).
Eppure questo nuovo di Venier sembra sul serio una metafora di quanto il nostro cinema non riesca proprio a seppellirla, la commedia all'italiana, ad ammazzarla e a dichiararsi vedovo felice dell'intera tradizione. Lo spauracchio, l'incubo immortale della commedia all'italiana non fa che tornare, e tornare, e tornare, gettando un'ombra dalla quale è impossibile liberarsi neanche parlando chiaramente una lingua che non è quella di chi non ha accesso alle salette vip degli aeroporti (fideiussioni? Azioni in borsa?). Raccontando un'Italia ben lontana da quella che una commedia all'italiana dovrebbe raccontare (forse l'autista Giancarlo è l'unico autentico personaggio popolare del lotto con il suo "la padrona è morta e parcheggio dove cazzo mi pare", e non a caso è quello più “inventato” in confronto al copione del 1959…che la commedia all'italiana fosse un genere borghese?…non siamo certo i primi a pensarlo…).

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Questa dell'ambientazione altolocata (un po' la stessa speranza, vana, che aveva l'ultimo Sergio Rubini) potrebbe essere l'unica ancora di salvezza di Venier dalla maledizione della commedia all'italiana, ma purtroppo i cantieri aperti di gru e ruspe sui titoli di testa già lasciano intravedere la satira sociale dietro l'angolo. E allora non c'è speranza, il film è destinato a cadere giù nell'impossibile tentativo di ammazzare i richiami all'attualità (l'amante stupida e rifatta, la “crisi”…), le caratterizzazioni grottesche dei ruoli di contorno (c'è un istante con Bebo Storti prelato viscido e maneggione, e Ninni Bruschetta con Roberto Citran riccastri spietati, seduti uno affianco all'altro, dove un Mastrocinque – ecco, faccio un nome – avrebbe giusto lasciato la cinepresa accesa per un quarto d'ora e via), l'apologo morale, insomma tutto quello che ci portiamo dietro da allora.
Ma l'Aspirante vedovo non può che soccombere, la battaglia è falsata, truccata, da sempre inutile da combattere. Venier e De Luigi, si tifava per voi nonostante le terribili gag con il cane e alcuni passaggi a vuoto che non a caso mandano al manicomio (!), ma la commedia all'italiana gioca sempre in difesa, e soprattutto è piena di soldati armati e filologi sdegnati. Buona fortuna.

Regia: Massimo Venier
Interpreti: Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Alessandro Besentini, Francesco Brandi, Bebo Storti, Ninni Bruschetta, Roberto Citran, Clizia Fornasier
Origine: Italia, 2013
Distribuzione: 01
Durata: 84'

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