“Battleship”, di Peter Berg


La battaglia navale si trasforma subito in una sorta di duello allo specchio (come già accadeva ai due schieramenti opposti di The Kingdom, ripensiamo all'esplicito finale), un po’ com’era il gioco da tavolo: la lotta è tra la preistoria terrestre e la dopostoria aliena, ma ha occhi umanissimi che si specchiano gli uni negli altri. In altre parole, il conflitto della Hollywood dei giorni nostri. La via di Peter Berg per sopravvivere all’estinzione: tornare ad essere la corazzata di ferro d’un tempo, carica e indistruttibile

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Al momento di girare Battleship ovviamente Berg non poteva prevedere il mastodontico tonfo di John Carter. Eppure il taglio di capelli imposto a Taylor Kitsch dopo il prologo da scavezzacollo (un po’ à la Star Trek versione Abrams), in cui la giovane star sfoggiava una chioma fluente identica a quella del suo personaggio nello sfortunato film di Andrew Stanton, si dimostra già un primo elemento programmatico. Ecco un film che inconsapevolmente si fa metafora visiva di questa sorta di lotta tra la nostalgia dell’età del ferro e il trionfo dell’epoca della plastica (plastic, assholes!, sbotterebbe George Carlin) attraverso cui Hollywood cerca di arginare i danni causati, in sostanza, dai picchi della produzione tv degli ultimi anni, e relativo cliché che “ormai le serie tv son meglio del cinema” (per capirsi, leggere l’editoriale di Patrick Goldstein che abbiamo tradotto).

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Il fenomenale Peter Berg è di fatto la personalità giusta per immergersi nel conflitto: da un lato è un duro tutto d’un pezzo del vecchio stampo hollywoodiano, tanta gavetta dietro le quinte e un sacco di mestieri diversi sul set, dal water boy all’attore; dall’altro dirige oggi blockbuster hi-tech come questo e i due precedenti, e in tv tiene a battesimo serie longeve come Friday Night Lights (dalla quale proviene appunto Kitsch). Qua per circa un’ora gioca a fare Michael Bay (il film però più che ai Transformers Hasbro rimanda ad Armageddon, non solo per l’apocalisse alle porte ma anche per i rapporti sentimental-filiali-virili all’interno della flotta), e non sta fermo un attimo. L’idea è raccontare come nella vita quotidiana si possa replicare la strategia militare, e dunque ecco velocissime e atleticissime partite di calcio tra prestanti marinai, e insieme mettere subito in scena la questione centrale dell’interazione uomo-tecnologia, con il personaggio del reduce mutilato con le gambe in titanio che fa fisioterapia in una palestra piena di semi-androidi con protesi meccaniche.
La trovata che produttori e sceneggiatori temevano potesse trasformarsi in un boomerang (“un altro film sulle invasioni aliene?!”) è in realtà un nuovo raddoppio della questione: gli extraterresti di Battleship sono “quasi umani”, provengono da un pianeta simile alla Terra – sono in pratica la nostra versione 2.0, e la loro evoluzione è soprattutto tecnologico-meccanica. E’ così che la battaglia navale si trasforma subito in una sorta di duello allo specchio (come già accadeva ai due schieramenti opposti di The Kingdom, ripensiamo all'esplicito finale), un po’ com’era il gioco da tavolo (così Berg può anche sfruttare le prospettive verticali che ne caratterizzano da sempre lo stile). La lotta è tra la preistoria terrestre e la dopostoria aliena, ma ha occhi umanissimi che si specchiano gli uni negli altri. In altre parole, il conflitto della Hollywood dei giorni nostri (ricordiamoci di nuovo l’ultima notte degli Oscar…).

Berg per la prima parte del film è tutto impegnato a spezzare la staticità propria delle sea wars con una serie di espedienti spettacolari (l’invasione a bordo degli alieni, l’escursione di Brooklyn Decker col suo paziente…); divide il film a metà con una divertita sequenza centrale di omaggio esplicito al gioco da tavolo, e poi decide di dare ad Hollywood la sua fondamentale lezione: quella sul mantenere la posizione.
L’ultima ora di Battleship si trasforma dunque in un viaggio a ritroso che sembra scartare di volta in volta le diverse versioni del gioco, da quella computerizzata a quella digitale e così via, sino a ritornare alle griglie disegnate a penna sui quaderni a quadretti. Progressivamente, la flotta di Berg dovrà rinunciare a tutti i ritrovati avanzati della tecnologia, sfruttando così per sconfiggere i terribili nemici alieni l’ingegno applicato ai rilevatori di movimento delle boe, alle capacità di manovra del timoniere in spazi angusti, alla mira infallibile del fucile dei due ufficiali alleati, alla comprensione (personalissima) dell’Arte della Guerra di Sun Tzu…
Partito come un blockbuster liquido d’ultima generazione, Battleship si conclude così come un film di guerra sulle battaglie navali di quelli della Hollywood classica: non a caso l’arma segreta della vittoria è una corazzata della Seconda Guerra Mondiale, pilotata da un gruppo di veterani che pare sopravvissuto alla Battaglia delle Midway di John Ford.
Peter Berg, insomma, sta indicando ad Hollywood la via per sopravvivere all’estinzione, inequivocabilmente sottolineata dalla colonna sonora gustosamente fracassona a base di classici hard rock di AC/DC e Creedence Clearwater Revival: tornare ad essere la corazzata di ferro d’un tempo, carica e indistruttibile. Via la plastica: Metal, assholes!

Titolo originale: id.
Regia: Peter Berg
Interpreti: Taylor Kitsch, Alexander Skarsgard, Liam Neeson, Brooklyn Decker, Rihanna, Peter MacNicol, Tadanobu Asano, Hamish Linklater
Origine: USA, 2012
Distribuzione: Universal
Durata: 130'

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