Beautiful Things, di Giorgio Ferrero

In sala da oggi l’ambiziosa ricostruzione del loop industriale degli oggetti che segnano il nostro stare al mondo, una suite di campionamenti delle onde di plastica che si propagano dalle cose

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Giorgio Ferrero, compositore per il cinema insieme a Rodolfo Mongitore sotto il moniker Minus & Plus (firmano ad esempio lo score di Pietro e Ruggine di Gaglianone e di Sette opere di misericordia dei De Serio), approda al documentario con la chiara intenzione di replicare sulle immagini il meccanismo di stratificazione dei propri flussi sonori, che ne supportano e indirizzano infatti qui l’intero apparato di osservazione, astrazione e ricostruzione.
Da questo punto di vista il fulcro della ricerca è la sezione di Beautiful Things dedicata ad Andrea, lo scienziato che testa i prodotti all’interno di una camera anecoica: è lì che la riflessione sull’arco esistenziale dei manufatti industriali, che regge quest’opera co-firmata con il d.o.p. Federico Biasin, svela definitivamente la propria anima di field recording, di processo di raccolta e sintesi delle onde di plastica progressive propagatesi da questi oggetti ad ogni distanza. Come nel finale Ferrero piazza una violoncellista a far vibrare il proprio strumento per l’appunto all’interno della stanza-senza-eco, così Van il trivellatore di petrolio texano vede riapparire in chiusura il sé stesso bambino che ritmava partiture per attrezzi da lavoro, tubi, seghetti e chiavi inglesi. Minus & Plus s’inventano per l’incipit negli sterminati giacimenti USA proprio una sinfonia di suoni e clangori dai pozzi di oro nero campionati insieme a strumenti “infantili” come la marimba, e Ferrero procede poi per una spirale simile di innesti e incroci tra le storie che inanella seguendo la via dei beni seriali di consumo, dai giganteschi cargo navali che attraversano l’oceano fino alle discariche che riportano tutto in “cenere e fumo bianco”.

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I racconti dei personaggi già incontrati ricompaiono come interferenza nei passaggi da un “capitolo” all’altro, le immagini e le suggestioni si rimpallano tra di loro come loop di una suite elettronica: al di là dell’attenzione vertiginosa ai paesaggi sconfinati e alle particelle di montaggio che dissezionano chirurgicamente queste cattedrali asettiche, quasi fossimo in un Glawogger, il cuore di Beautiful Things si rivela a sorpresa nascosto nelle rievocazioni di queste immense solitudini, nelle memorie di questi uomini che hanno spesso cercato e abbracciato del tutto un’esistenza in compagnia assoluta del silenzio degli orizzonti del Texas, del ventre enorme e disabitato di una nave-merci sempre in movimento, delle catene montuose di rifiuti nello stomaco di un inceneritore.
Ferrero coglie gli spettri del loro passato e delle loro confessioni per trasformarli in visitazioni per la lunga coda danzante del film, un balletto meccanico che non ha paura di sfidare la propria ridondanza, in cui vorticano i primi piani finalmente svelati dei quattro protagonisti, insieme ai loro fantasmi e alla coreografia in centro commerciale imbastita dalla coppia di cui, negli intermezzi, abbiamo seguito gli home movies che ne raccontano la quotidianità nel tempo.
Dai giocattoli dell’infanzia alle torri di musicassette delle camerette dell’adolescenza, inquietanti piano-sequenza “di finzione” puntellano infatti la parabola dell’opera a spiare attimi comuni, esseri umani perennemente immersi in quelle stesse merci che costellano le tracce del nostro stare al mondo, e indirizzano le scelte con cui segnaliamo all’universo la nostra posizione morale, affettiva, culturale, politica.

Regia: Giorgio Ferrero
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 95′
Origine: Italia, Svizzera, USA, 2017

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