#Berlinale2017 – The Party, di Sally Potter

Il grande freddo della sinistra inglese con una commedia domestica perfettamente congegnata. L’eleganza dei dialoghi e della fotografia non può evitare una confessione stantia. In concorso

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The Party è credibile sia nella sua veste di ufficiosa di pamphlet sociopolitico che in quella più dichiarata di virtuoso esercizio di stile. Sally Potter è molto brava ad ammiccare al gusto della sua platea di riferimento con la scelta accattivante del bianco e nero e con gli equivoci di una commedia perfettamente congegnata. La regista è talmente concentrata a levigare il meccanismo della scrittura da dimenticarsi di portare i suoi personaggi oltre la loro subordinazione alla tesi del film sulla situazione britannica.

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La nomina ministeriale della protagonista spinge sette persone a riunirsi nel suo elegante appartamento per festeggiare il coronamento della sua lunga carriera di attivista. Tutti gli invitati corrispondono ad uno stereotipo della sinistra inglese che inevitabilmente deve affrontare il crollo del mito del blairismo. Ormai, il lungo regno del leader laburista è finito da quasi un decennio e la forte schematizzazione dei loro comportamenti assegna al film una matrice datata rispetto al trauma ben più attuale della Brexit.

The Party ha i contorni di uno sfogo personale che Sally Potter condivide esclusivamente con la sua generazione e questo atteggiamento di analisi collettiva è esplicito nella scena del dialogo tra Kristin Scott Thomas e Patricia Clarkson. La due riflettono sulla loro diversa risposta alla disillusione rispetto all’idealismo giovanile e difendono le differenti posizioni del cinismo e del compromesso. In un certo senso, è come se Sally Potter cercasse di chiarire i suoi stessi dubbi riguardo al costo che la militanza inglese ha dovuto pagare per essere all’altezza di un’esperienza di governo.

the party kristin scott thomasIl film è una sorta di grande freddo della sinistra d’oltremanica ma in molte delle sue caratteristiche più appariscenti è degno della peggiore autoreferenzialità del sessantottismo italiano. Il punto in comune più fastidioso è quello dell’ambientazione nella casa borghese ma l’elenco delle somiglianze si riassume meglio nell’irrefrenabile desiderio di parlarsi addosso. L’impotenza dei personaggi si concretizza nella pistola che finisce sempre in un cassonetto della spazzatura perché nessuno dei presenti ha il coraggio di compiere il sacrificio simbolico della propria epoca. La loro attitudine a focalizzarsi solo sugli errori del passato invece che a guarire il futuro è un segnale evidente della loro incapacità di capire gli eventi che li hanno travolti. Tutte le interpretazioni sono condizionate dal limite di dover rappresentare fisicamente una corrente di partito in un ventaglio che va dal broker rampante all’eterno idealista che ascolta soltanto vecchi vinili. Le differenze con le più spiacevole derive autoriali italiane sono altrettanto evidenti e si appoggiano su un’esibizione di talento che nelle nostre rievocazioni manca quasi sempre.

the party patricia clarksonThe Party viene agevolato nel suo scopo da un cast di professionisti ispirati che si trovano a loro agio nell’impostazione teatrale dell’unità di luogo e gestiscono perfettamente il montaggio interno attrraverso i tempi della battuta nelle lunghe discussioni generali. Sally Potter sa di doversi affidare alle loro capacità e si rivolge alla fotografia di Alexei Rodionov per valorizzare i primi piani e i movimenti di macchina lungo le diverse stanze dell’appartamento. In questo senso, le sue scelte provano a spostare il film verso il modello molto più stimolante di Carnage di Roman Polanski ma è il rispetto del manifesto che frena i suoi tentativi. I dialoghi piacevoli e un numero minimo di equivoci che agitano i personaggi sono solo uno strumento per una dissezione che arriva a delle conclusioni scontate e già consumate.

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