BERLINALE 63 – Incontro con Steven Soderbergh, Jude Law, Rooney Mara per "Side Effects"


Steven Soderbegh è tornato a Berlino per la quinta volta e ha presentato Side Effects insieme a Jude Law e a Rooney Mara. Il regista ha lasciato spesso la scena a Scott Z. Burns: lo sceneggiatore ha spiegato la lunga genesi del progetto e ha svelato come il thriller psicologico fosse un desiderio comune ed inedito per entrambi. L'influenza di Hitchcock viene ammessa ma il cineasta rivela che i suoi film cercano sempre di distruggere tutti quelli che li hanno preceduti

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Steven Soderbegh è tornato a Berlino per la quinta volta e ha presentato Side Effects insieme a Jude Law e a Rooney Mara. Il regista ha lasciato spesso la scena a Scott Z. Burns: lo sceneggiatore ha spiegato la lunga genesi del progetto e ha svelato come il thriller psicologico fosse un desiderio comune ed inedito per entrambi. L'influenza di Hitchcock viene ammessa ma il cineasta rivela che i suoi film cercano sempre di distruggere tutti quelli che li hanno preceduti.

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Potete dire quando avete cominciato a pensare al film e qual è stato il lavoro di ricerca che avete fatto?

SCOTT Z. BURNS: Ho iniziato a fare ricerche su questo tema dieci anni fa mentre lavoravo ad uno show televisivo. Avevo visitato un ospedale di New York che è specializzato in malattie mentali: è stato allora che ho scoperto che c'è un intenso legame tra gli psichiatri, la legge la industrie farmaceutiche. Ho pensato subito che sarebbe stata una storia interessante da raccontare. Ho fatto girare la sceneggiatura per anni ma è difficile fare un film ad Hollywood se non hai la gente adatta. Steven Soderbergh voleva fare un thriller psicologico e allora gli ho dato il copione.

Vi piace essere qui a Berlino? Quale è stata la sfida più difficile nella realizzazione del film?

STEVEN SODERBERGH: Credo sia la quinta volta che vengo qui: non sono mai stato così tante volte in nessun altro festival e questo significa che mi piace molto. La sfida più grande sono stati i primi trenta/quaranta minuti del film perchè avevamo bisogno di trovare l'equilibrio giusto. Potevamo risolvere tutto in post-produzione ma era una parte del processo che mi impauriva molto.

ROONEY MARA: Non lo so: non ci sono state sfide. Steven ha fatto in modo che tutto fosse facile.

JUDE LAW: Non ho studiato medicina e non ho un grande rapporto con i farmaci quindi la parte più difficile era quella di essere realistico come psichiatra. Dovevo convincere me stesso di essere credibile in questo ruolo.

Il film si concentra molto sul ruolo dei farmaci nella società americana. E sulla necessità di eliminare la tristezza e la depressione. Qual è il vostro punto di vista sulla questione?

SCOTT Z. BURNS: La relazione tra gli americani e i farmaci è davvero complicata. Tante persone assumono medicine perchè vedono in televisione e nelle pubblicità che è una cosa ordinaria: il messaggio che mandano è che la depressione può essere curata molto facilmente. Negli Stati Uniti c'è una guerra chimica contro la tristezza. Il film sostiene l'idea che le cose potrebbero anche essere più complicate di così.

Il film si basa molto sull'idea hitchockiana del thriller psicologico. Condividete questo punto di vista? Come vi siete approcciati a due personaggi che non definiscono bene il ruolo di vittima e quello di carnefice?

STEVEN SODERBERGH: Una delle ragioni per cui i film di Hitchcock sono ancora così attuali non è la loro forma o la loro tecnica innovativa ma il fatto che ruotano intorno al concetto di colpa. Volevo fare un film in cui ci fosse un transfert da un personaggio all'altro di questa idea di colpa: era il materiale perfetto per fare un film e ho voluto che gli attori lavorassero giorno per giorno senza sapere quale fosse l'esito finale. E' stato un trucco divertente.

JUDE LAW: A volte le cose vengono da sole, soprattutto quando hai una bella sceneggiatura. Entrambi abbiamo deciso di lavorare senza avere un piano preciso e di approfondire la parte separatamente senza sapere quale fosse il finale del film.

Cosa vi ha interessato di più del film: la questione della depressione e dei farmaci oppure la possibilità di girare un thriller psicologico?

STEVEN SODERBERGH: Volevo girare un thriller e fare una cosa nuova nella mia carriera. Le ultime cose che ho fatto volevano essere divertenti da fare ed eccitanti da vedere.

L'interpretazione di Jude Law è davvero matura, molto più di quanto fosse in precedenza. Come ha fatto ad entrare così bene nel personaggio?

JUDE LAW: Davvero? Forse sono stati quaranta anni di esperienza! Per recitare bene in un film devono verificarsi una serie di circostanze. Devi scegliere la parte giusta nel momento giusto e la devi mettere nelle mani giuste e devi lavorare con le persone giuste. Tutto questo ha una grande influenza sul risultato finale. Le caratteristiche del personaggio mi hanno aiutato: è intelligente, è complicato ed è maturo e mi ha stimolato ad interpretarlo in modo sincero ed onesto.

Il suo film si ispira ad Hitchcock ma è anche molto nuovo ed inedito.

STEVEN SODERBERGH: Io provo sempre ad approcciarmi ad un nuovo film come se dovesse distruggere tutti i film che sono venuti prima. Questo è un tipo di film che non avevo mai fatto prima e volevo fare qualcosa che fosse molto pulito proprio come lo avevo fatto. Non volevo che ci fossero troppe scene extra o dei momenti superflui. C'era un pittore che diceva: “è un lavoro infinito quello di cancellare tutte le tracce del tuo lavoro”. Il mio approccio è stato questo. E' stata una sfida eccitante che mi ha spinto all'autocontrollo ed è stato molto divertente.

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