BERLINALE 63 – “The Broken Circle Breakdown”, di Felix Van Groeningen (Panorama)


Van Groeningen fa un grosso lavoro nel tentativo di trasformare la campagna belga nelle colline bruciate dal sole del sud degli States, dove proliferano i teatrini alla Radio America in cui si esibisce la band bluegrass del protagonista e della sua amata; e questa parte del film gli riesce anche piuttosto bene, soprattutto grazie alle numerose esibizioni canore di cui è puntellata l'opera. Meno funziona il resto dell'apparato etico e formale del film

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Bluegrass Valentine. Avvenimenti montati rigorosamente in ordine non cronologico nel film: lui, Kris Kristofferson belga con complessino country al seguito incontra e si innamora di lei, bella tatuatrice bionda tosta e un po' maudit – l'amore, il matrimonio, una figlia, che si ammala gravemente di leucemia. Lei prende a fare la voce femminile nella band del Kris belga, ma giù dal palco la vita si fa difficile, la malattia della bambina rimette in ballo tutta una serie di questioni mai risolte nella coppia: lui voleva davvero un figlio da lei? E come la mettiamo con la questione religiosa/spirituale, che divide il materialismo ostinato dell'uomo dalla tensione mistica della donna?

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Van Groeningen fa un grosso lavoro nel tentativo di trasformare la campagna belga nelle colline bruciate dal sole del sud degli States, dove proliferano i teatrini alla Radio America in cui si esibisce la band del protagonista; e questa parte del film gli riesce anche piuttosto bene, soprattutto grazie alle numerose esibizioni canore di cui è puntellata l'opera (e che in Belgio hanno avuto un discreto successo nell'edizione su cd della soundtrack, a firma Broken City Breakdown Bluegrass Band), che attraversano la storia del country con alcuni sublimi classici tipo Wayfaring Stranger – la suggestiva quanto familiare fotografia a toni contrastati fa il resto, insieme alle interpretazioni caldissime della coppia di protagonisti, Jonah Heldenbergh e Mieke Dobbels.

Quello che funziona meno è tutta un'altra sezione dell'apparato formale (tacendo del montaggio a blocchi alternati che sarebbe una buona volta il caso di mandare in soffitta), appesantita da simbolismi e scelte stilistiche eccessivamente calcate, come le clip ultrafiltrate di ricordi/rewind della parte finale, ma che soprattutto non aiuta a far funzionare la sottotraccia etica della vicenda, che secondo lo script dovrebbe invece diventare ma mano sempre più pressante e centrale. Van Groeningen perde così progressivamente il focus del suo film, che diventa molto meno convincente e un po' tirato via proprio nella svolta conclusiva della vicenda: lo salva in qualche modo la sequenza cantata di chiusura in ospedale, forse il momento più emozionante e inedito tra tutte le fenomenali performance musicali che attraversano l'opera.

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