BERLINALE 64 – A Long Way Down, di Pascal Chaumeil (Berlinale Special Gala)


Tratto dal fortunatissimo libro di Nick Horby, autore amatissimo dagli studios, A Long Way Down aveva tutte le carte in regola per diventare un ottima commedia sofisticata, sfumata al nero. Purtroppo il risultato e' stato un prodotto colpevolmente medio, sempre pronto a intraprendere la strada piu' facile.

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La notte di Capodanno, quattro sconosciuti si incontrano sul tetto di un grattacielo londinese. Il loro semplice proposito e' iniziare il nuovo anno facendola finita. Gli aspiranti suicidi sono Martin, ex divo del piccolo schermo rovinato da uno scandalo sessuale, Maureen, madre single sfinita dall'assistenza di un figlio gravemente disabile, J.J.,  giovane musicista dai sogni infranti e Jess, rampolla di un importante uomo politico incapace di metabolizzare la scomparsa della sorella maggiore. Resisi conto di non riuscire a fare il fatidico ultimo salto, i quattro decidono di stipulare un patto e di provare ad andare avanti insieme.

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Tratto dal fortunatissimo bestseller di Nick Horby, autore amatissimo dagli studios, A Long Way Down (in italiano Non buttiamoci giu') sulla carta, aveva tutte le carte in regola per essere un’ottima commedia sofisticata, impreziosita dalle sfumature di humor nero del romanziere londinese.  Oltre ad aver messo mano ad una storia molto commerciale e aver coinvolto un regista d'importazione con una solida reputazione nel settore  (il buon Pascal Chaumeil de Il truffacuori e Un piano perfetto), i produttori, infatti, avevano avuto decisioni felici anche per quanto riguardava i set, la colonna sonora e un cast perfetto per i propri protagonisti. Chiunque abbia letto il libro avra' sicuramente condiviso la scelta dei volti di Pierce Brosnan (nel pieno di una seconda giovinezza lavorativa), Toni Colette e i lanciatissimi Imogen Potts e Aaron Paul (pilastro del successo della serie tv Breaking Bad). Insomma, per un prodotto del genere, c'erano la storia giusta, il regista giusto, gli attori giusti, le location giuste, le canzoni giuste... Allora cosa ha portato ad un lavoro cosi, tristemente, medio?

Chaumeil e il suo sceneggiatore Jack Thorne non hanno la forza (o la voglia) di osare nulla, decidendo consapevolmente di intraprendere sempre la strada narrativamente piu’ scontata. Troppo impegnati ad esorcizzare a tutti i costi il fantasma del libro di Horby, i due autori non raggiungono un convincente compromesso spirito del libro – esigenze dello schermo. Se Thorne fa un lavoro di adattamento maldestro, Chaumeil, pur dimostrando ancora una volta di essere un cineasta attento alle belle immagini, sbaglia completamente il tono del film, scadendo in piu’ di un’occasione in un patetismo inaccettabile (la convalescenza del figlio della Colette, ad esempio).  Il film conserva, nonostante tutto, una discreta capacita’ d’intrattenimento, ma, con premesse del genere, erano lecito osare di piu’ di una banale e trascurabile commedia romantica in salsa british.

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