BERLINALE 64 – Cesar Chavez, di Diego Luna (Berlinale Special Gala)


Il Cesar Chavez di Diego Luna, qui alla sua terza regia, è il protagonista di un'agiografia civile. Un santino laico irraggiungibile dove il sindacalista piuttosto che un uomo con dubbi e conflitti è quasi un supereroe indomito, una figura dai contorni sacrali assai facile provare ammirazione ma verso la quale è impossibile empatizzare.

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Cesar Chavez, sebbene non sia una figura molto conosciuta al di fuori degli Stati Uniti, ha ricoperto un ruolo fondamentale nella lotta per i diritti sindacali durante la contestazione degli anni sessanta. Con la National Farm Workers Association (il sindacato da lui fondato) e i suoi scioperi non violenti, Chavez ha ottenuto nuovi diritti e dignità lavorative per i braccianti agricoli, raggiungendo traguardi fino allora inconcepibili. L’attore messicano Diego Luna, alla sua terza regia, ha il coraggio di portare sul grande schermo la storia incredibile di questo eroe civile, rendendolo, in pratica, il protagonista di un’agiografia civile. Il Chavez di Luna, piuttosto che un uomo pieno di dubbi e conflitti o un padre di famiglia preoccupato per la sicurezza dei propri cari, diventa presto una sorta di supereroe indomito, una figura quasi sacrale verso la quale è assai facile provare ammirazione ma quasi impossibile sentire empatia. Relegandolo in questo irraggiungibile santino, la figura di Chavez perde molto della sua indomita potenza carismatica, galleggiando più nella  Mitologia che nella Storia. Schiacciato tra la negazione  di una dimensione privata/famigliare (i problemi con la moglie e i figli vengono liquidati in qualche minuto) e una semplificazione storica forse necessaria (nella trama sfilano figure come Ronald Reagan, Bobby Kennedy e Richard Nixon) il film di Luna si rivela un’opera manichea dove in modo didascalico all’eroico sindacalista pronto ad accettare da martire i soprusi dei padroni si contrappongono i Padroni, lombrosianamente vecchi e viscidi, disposti ad ogni nefandezza. A differenza del Harvey Milk di Gus Van Sant, qui Chavez si cristallizza in una dimensione totemica che, alla fine, inibisce la forza del ruolo storico del vero sindacalista americano. Diego Luna, probabilmente troppo legato affettivamente alla propria storia, si dimostra incapace di mantenere, non solo l’obiettività, ma anche un senso del racconto che permetta alla sua opera di superare i confini del ritratto propagandistico e farsi vero racconto morale. Questo peccato nato da buone intenzioni, però non impedisce comunque a questa vicenda umana straordinaria di arrivare al pubblico, grazie anche all’interpretazione del buon Michael Peña . L’attore americano, già messosi alla luce con l’ottimo End of Watch di David Ayer, si fa carico di questa sfida, regalando al suo personaggio la forza del suo fisico massiccio, l'ideale per trasmettere il solido carisma e la calma abnegazione di un eroe operaio. Una prova lucida e saggia che, quasi sicuramente, verrà ignorata dai più.

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