BERLINALE 64 – Love Is Strange di Ira Sachs (Panorama)

alfred molina e john lithgow in love is strange

Al centro c'e' sempre New York, sfondo determinante nel cinema del regista statunitense, che diventa luogo di incontri, separazioni, spaesamento. La cinefilia del cineasta non appare però autentica ma risultato di un intellettualismo che fa rima con minimalismo, con echi di Rockwell e Toback. E le potenziali fiamme del melodramma si spengono al primo soffio di vento

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alfred molina e john lithgow in love is strangeUn dolente 'viaggio alla Ozu' sotto la prospettiva omosessuale. Erano queste almeno le intenzioni di Ira Sach. Love Is Strange in qualche modo ritorna sui territori del precedente Keep the Lights On. Li' al centro c'era la storia d'amore tra un documentarista e un avvocato, qui invece una coppia in cui Ben (John Lithgow) e George (Alfred Molina), dopo 39 anni di vita insieme, decidono di sposarsi dopo l'approvazione dei matrimoni gay da parte dello stato di New York. In seguito alle nozze pero' George viene licenziato dalla scuola cattolica dove insegnava. Non potendo piu' permettersi l'appartamento dove vivevano, i due sono costretti a separarsi. Ben va a vivere a casa del nipote che vive con la moglie e il figlio adolescente. George invece va a casa dei suoi vicini, una coppia di poliziotti gay.

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Al centro c'e' sempre New York, sfondo determinante nel cinema del regista statunitense, che diventa luogo di incontri, separazioni, spaesamento. Innanzitutto entrano in gioco gli appartamenti, nei quali si crea un contatto con chi li abita, tema questo che era gia' al centro del suo documentario Last Address in cui venivano mostrate le case di alcuni grandi artisti prima di morire di Aids.

Sachs lavora spesso sulle superfici, apre e chiude gli episodi in un cinema spesso molto dialogato in cui puo' emergere la tecnica di John Lithgow piuttosto che la fisicita' di Alfred Molina. La loro separazione, l'elemento drammaturgico forte del film, viene pero' mostrata piu' attraverso la loro singola quotidianita' e tiene a parte invece le interazioni tra i due protagonisti che sono la parte migliore del film, come si vede dalla scena della telefonata o nella loro passeggiata finale. Si ripassa per Viaggio a Tokyo di Ozu, come si diceva, ma anche per Cupo tramonto di McCarey che ha in se' questi due momenti che possono apparire gemelli. Ma questa cinefilia non appare autentica ma risultato di un intellettualismo che fa rima con minimalismo, con echi di Rockwell e Toback. La musica al piano lascia spesso galleggiare il film fino all'esibita dolcezza del finale. Ma le fiamme del melodramma, in un cinema cosi' lavorato e anche ben recitato (soprattutto Marisa Tomei nei panni della moglie del nipote), si spengono al primo soffio di vento.

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