BERLINALE 65 – Love & Mercy, di Bill Pohlad (Berlinale Special Gala)

http://www.berlinale.de/media/filmstills/2015_1/berlinale_special_10/201510457_3_IMG_FIX_700x700.jpg
Moverman e' uno dei pochi sceneggiatori in grado di raccontare la vicenda umana dei musicisti con un’attenzione prevalente sul lato artistico e creativo: gran parte delle vignette dal passato di Brian Wilson si svolge in uno studio di registrazione. Viaggio all’interno di un’immagine di se’ andata in pezzi, proprio come i sei Bob Dylan di I’m not there e il Richard Gere di Time Out of Mind

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http://www.berlinale.de/media/filmstills/2015_1/berlinale_special_10/201510457_3_IMG_FIX_700x700.jpgScritto da Oren Moverman prima di imbarcarsi nella realizzazione di Time out of mind, Love & Mercy e’ a sorpresa il film che spiega definitivamente e dona un senso tutto nuovo all’opera con Richard Gere che a Roma ci aveva tanto tenuto a distanza – anzi, in qualche modo lo script per l’amico Bill Pohlad (fino ad ora produttore da serata degli Oscar: The tree of life, 12 anni schiavo, Into the wild…) in qualche modo finisce per gettare luce su tutto un percorso che Moverman sembra aver intrapreso quantomeno dai tempi della sceneggiatura di I’m not there.

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Da un lato, questa biografia di Brian Wilson recupera apertamente la struttura a stringhe del capolavoro di Todd Haynes, incanalando il racconto delle celebri sessioni di registrazione dei Beach Boys per opere di culto come Pet Sounds o Smile in una serie di trip visionari e di quadretti circolari che tentano di restituire alle immagini la struttura surreale dei brani di Wilson (ci pensa con generosita’ di invenzioni quel Robert Yeoman abituale d.o.p. di Wes Anderson) mentre tra le righe narrano del difficile e turbolento rapporto tra il giovane Brian (Paul Dano, a cui purtroppo non si crede mai per davvero) e la famiglia, i fratelli e il padre autoritario e manesco.
Con l’aiuto del megamix di campionamenti di spezzoni dei Beach Boys frullato per la soundtrack dal solito Atticus Ross, Moverman si conferma in questo modo uno dei pochi autori di biopic su cantautori pop in grado di raccontare la vicenda umana dell’artista attraverso un’attenzione prevalente sul lato musicale e creativo del protagonista: qui, gran parte di queste vignette dal passato si svolge nel meta-set di uno studio di registrazione, o davanti al pianoforte di Brian Wilson.

E per Pohlad e Moverman, lo studio di registrazione e’ innanzitutto una sala di specchi, di vetri divisori: davvero dialogando in maniera evidente con l’ossessione di Time out of mind per i riflessi, le vetrate filtranti, le barriere invisibili (spesso il controcampo di Wilson e' visto in uno specchio), Love & Mercy diventa cosi' un altro viaggio all’interno di un’immagine di se’ forse irrimediabilmente andata in pezzi, scomposta, perduta, proprio come i sei Bob Dylan differenti di I’m not there e lo spaventapasseri Richard Gere del film visto all’Auditorium.

Questo trattato in progress sulla schizofrenia, sulla solitudine e sulla paranoia si arricchisce qui di un nuovo ritratto di un uomo non piu’ padrone delle proprie scelte, a cui John Cusack dona un’interpretazione sofferta e dolente, che per un attimo sembra riportarlo a quel cinema indipendente e fieramente rockettaro che aveva in lui un glorioso baluardo, prima della discesa recente dell’attore negli inferi di produzioni ben meno ambiziose, al netto di Cronenberg.
La performance di Cusack si regge pero’ sul confronto continuo col perfido psichiatra/aguzzino Paul Giamatti, ma soprattutto sulla pazzesca, maiuscola presenza scenica di Elizabeth Banks nel ruolo di Melinda, la donna che ha riportato Brian Wilson alla vita.
Se a dispetto di certe ingenuita’ e di scelte estetiche non sempre inedite, Love & Mercy si rivela comunque un grande film innervato di un’anima spaurita e vibrante, gran parte del merito e’ nella forza dell’interpretazione dell’attrice di Zack & Miri.

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