#Berlinale2017 – Bright Nights, di Thomas Arslan

Bright Nights, di Thomas Arslan, gioca a nascondino con ciò che vuole essere: manifesto di confusione legittima oppure super ammiccamento alla complessità del rapporto padre/figlio. In concorso.

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Rischiamo o andiamo sul sicuro?” Battuta, slogan volontario o inciampo cosciente. Le Bright Nights di Thomas Arslan viaggiano su cieli limpidi evitando accuratamente le intemperie, ma quando la deviazione, o addirittura il deragliamento sono controllati con precisione chirurgica, rischiare non può che essere una semplice intenzione. Padre e figlio raggiungono la casa del nonno, morto di recente: un’eremita che ha abbandonato la Germania per trasferirsi in Norvegia. Da qui si dipana un road movie defraudato del guizzo che gli spetta di diritto e teso solo alla riconciliazione con legami interrotti. La coppia di protagonisti, Georg Friedrich e Tristan Gobel, vive separata, causa divorzio, mentre il nonno scompare dopo cinque anni di assenza dalla vita del figlio.

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Come nelle fantasie più infantili, l’azione di Arslan si concentra su un accompagnamento esasperante dei personaggi, un mano nella mano in una natura sublime e benefica. Eppure alla libertà non occorre il luogo per sprigionarsi: quel tanto amato into the wild che macina più morti del tumore. Inverosimiglianza e prevedibilità scocciano i fan del realismo oppure soccorrono gli avventurosi, quelli motivati da una ricerca più interessante. Ma si tratta di un mare, simile a quei paesaggi norvegesi, dove la perdita d’occhio corrisponde solo ad una grande paura di immergersi nell’acqua. Non si va oltre il

201712040_4_IMG_FIX_700x700racconto ordinario, o del suo utilizzo a scopo intrattenitivo/ritmico, perché si preferisce la coccola delle generazioni ricompattate con tanto di abbraccione. Sì, quelle braccia, già intrecciate da un gruppo di ragazzi incontrati su una spiaggia, sono l’unica salvezza per un’oscurità diffusa. Il padre soffre le giornate nordiche senza buio, non si dà pace. Tuttavia la luce che dovrebbe squarciare il sipario è ricercata nella sua totalità, quasi nell’abbaglio, come se la mezza misura fosse veicolo di imprudenza o ostentazione. Ma allora dove trovare quella calma, quella riappacificazione?

Il nonno defunto ha lasciato un manoscritto in cui delinea il progetto di un tunnel. Ecco allora l’ossessione per una strada ripresa nel suo srotolarsi, un intramezzo frequente dove però il bianco della nebbia risulta più una paralisi che un salvagente. E i tentavi di alleggerimento richiamano sempre quella comfort zone che prima o poi va abbandonata. Un padre che vuole la Bright_Nights_big-e1461758460807-940x320chiarezza di un legame dopo tanta oscurità oppure un padre che vuole il buio confortante di una galleria senza fine. Forse già nella premessa il in media stat non ha futuro e la confusione è l’unica chiave. Eppure a fine film si avverte che il dubbio sull’inspiegabilità del contatto umano, di quello reale, e chiaramente il suo potere hanno trovato in Bright Nights solo un Alice che non vuole cadere nella tanta del bian coniglio.

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