#Berlinale68 – Transit, di Christian Petzold

Christian Petzold racconta della fuga dalla persecuzione nazista attraverso di Georg, che per sfuggire alla cattura assume un’altra identità. In concorso

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Si potrebbe dire che una fuga è sempre uno smarrimento, un abbandono all’incertezza. Si fugge via dai pericoli, dalle responsabilità, dagli amori, strade intraprese con la fiducia di ottenerne un vantaggio che sopravanzi la nostalgia ed il nodo in gola. Christian Petzold tratteggia una via d’uscita con delle incognite da sciogliere nel mondo del protagonista che assunte le false sembianze di uno scrittore racconta la vita in un periodo di passaggio. Nello stallo di un porto dove imbarcarsi ed in attesa dei documenti per attuare il suo piano Georg oppone alla stasi un flusso emotivo ininterrotto, una speciale percezione possibile solo con i nervi scoperti e la fragilità che ti cade addosso come un vestito succinto, lasciandoti tanto esposto alle intemperie quanto sensibile a fiutare gli odori del vento.

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Tanta è la distanza frapposta tra sè e l’altro che vorrebbe impersonare che, mentre è alla ricerca  di una potenziale identità da interpretare, quegli stessi personaggi lasciatigli in eredità prendono vita in un processo di sostituzione generativa. Parole dotate di straordinari poteri usate per dilagare in una fantasia che si nasconde nel tono retorico di un vuoto sospiro del nulla. Nel verbo che diventa spirito, emanazione, sbocco immaginativo del possibile fino al dilagare del tempo sopra le premesse, sopra destini dialoganti testardamente di paradossi irrisolvibili, l’unica certezza risiede nella scomparsa. L’oblio finito del ricordo scivola in un ciclo chiuso iniziale, ad un grado di provenienza zero di partenza varcando di ritorno i cancelli del non essere.

Transit è un lungometraggio gocciolante di storie evanescenti, eppure pregnanti d’urgenza, ed attraverso una scrittura che diventa subito passato, inquadra un modo elegante e raffinato di avvicinare i molti cammini destrutturati del contemporaneo in fuga dai disastri ora come allora provocati dalla guerra, nè accantona l’apparenza cruenta distillandone un’essenza meno maleodorante.

MV5BYTI0MTcwMDAtOGY1NC00ZmExLTlmNTAtMTAxYmRiOGE5Y2RiXkEyXkFqcGdeQXVyNTk3NTI2NTk@._V1_SY1000_CR0,0,1555,1000_AL___1518882469_213.61.231.58Optando in alternativa su immagini fuori contesto logico per stimolare la reazioni di un pubblico ormai reso impermeabile all’orrore dal moltiplicarsi incontrollato di immagini in un indistindto amalgama virtuale. Anche per ammonire su un falso senso di sicurezza, per tenere alto un giusto stato d’allerta sulla memoria dei nostri momenti bui.

Inappuntabile per aver con grande efficacia richiamato alle colpe sepolte da pochi centimetri di civiltà, depotenziato le sirene del revisionismo spostando il discorso storico all’interno di un racconto ammantato di mistero, evitato i mugugni del nazionalismo risorto con i tratti temibili di sempre, e di aver colorato di amore, passione instabile o almeno oscillatoria, questa architrave sistemata sopra un’onda. Dietro le differenze epiteliali, dietro vestiti laceri, dietro le espressioni disorientate, ci sono gli stessi naufraghi ad inseguire uno stesso sogno.

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