#Berlinale68 – Yardie. Incontro con Idris Elba

L’Idris di Luther e di Beast of No Nation, oggi fa il ruolo di regista. E anche se sottolinea che questa non è la sua storia, nel racconto dietro la sua opera prima c’è tanto di lui stesso

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Ci sono molte versioni dell’attore britannico Idris Elba. Per tanti, lui è decisamente Luther; per altri, Russell “Stringer” Bell di The Wire oppure il brutale comandante del film Beast of No Nation. Per alcuni, pensare a Idris Elba vuol dire visualizzare il prossimo e definitivo James Bond. La discussione si scalda in attesa dell’attore britannico, che arriva all’incontro stampa alla Berlinale portando con sé tutto l’immaginario che lo circonda, ma allo stesso tempo il ruolo che almeno oggi sembra di stargli più comodo: il Regista. La sua opera prima Yardie, tratta dal romanzo omonimo di Victor Hardely sulla cultura giamaicana nel Londra degli anni 90, viene annunciata in giro come un lavoro intimo, personale, quasi autobiografico. Ma sin dall’inizio, l’attore, regista e anche DJ londinense chiarisce – con l’aplomb di un sir e in un modo assolutamente polite – che anche se ci tiene tantissimo, questa non è la sua storia.

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“Innanzitutto, ho letto il libro quando ero giovane e mi ha molto colpito”, risponde subito. “La storia è rimasta con me, perché anch’io sono cresciuto nella parte orientale di Londra. Anche se io non sono giamaicano ma di origini africane, sapevo che in un modo o in un altro potevo usare i miei ricordi per fare questo film. Io ero un ragazzo molto tranquillo e volevo far l’attore, ma nel mio quartiere c’erano dei gruppi pericolosi, gangs, tossici, ecc. Io non ero un gangster! Ma quando cresci in quei quartiere di Londra, c’è la possibilità di prendere quella strada, io avevo amici che volevano far gli attori, altri dj e altri volevano vendere droga.”

Poi, si torna alla finzione e al libro che l’ha ispirato, ma da cui naturalmente ha preso soltanto frammenti di una realtà molto più ampia, quasi irraggiungibile. “Il libro ha una temperatura diversa al film, la violenza è molto più evidente, noi volevamo focalizzarci soltanto su alcuni aspetti del personaggio. Negli anni 80 e 90 c’erano tanti scontri tra la polizia e i cosiddetti yardies (termine usato per descrivere gli immigranti giamaicani negli anni 70), e io non volevo fare un film sulla cultura yardie, ma su una persona, la sua storia e il trauma che ti spinge a scegliere una strada o l’altra”.

Oltre a conoscere l’Idris regista, oggi scopriamo che l’attore è molto popolare in Brasile. Dopo la domanda del terzo giornalista brasiliano e il costante riferimento a City of God, scopriamo che Elba è anche un fan del film brasiliano: “Infatti , ci sono tante cose di questo film, l’ho preso come riferimento, perché mi piace la sua autenticità, è una storia molto onesta e fino alla fine pensavo proprio di stare in Brasile! È un racconto molto umano, che parla di un fenomeno collettivo ma anche una piccola storia di una persona in particolare”.

La dialettica tra musica e immagine è qualcosa a cui Idris dice di tenere molto, soprattutto essendo anche un DJ. Perciò, non nasconde la sua soddisfazione quando qualcuno gli chiede della colonna sonora di Yardie. “La musica è fondamentale nel film. Da una parte, la musica giamaicana, perché non tutti capiscono da dove viene, ma quando conosci il posto e la storia di cui parla la canzone – come accade per esempio con la musica di Bob Marley – raggiunge un altro senso. Poi, dall’altro lato c’è la musica originale e il suono, che aggiunge drammatismo al racconto. Io, essendo anche DJ, ho sperimentato molto, col computer, con i programmi, per dare un suono un po’ più elettronico e originale. Devo dire che mi piace molto com’è venuto”.

Senza perdere mai la calma e il sorriso, Idris continua a smentire miti, e torna su un’idea che aveva già sottolineato: “Questo non è un film sulla migrazione né sul razzismo”. La domanda successiva, sul senso di responsabilità nel fare black cinema scalda ancora di più la discussione: “Innanzitutto, parlare di black cinema mi pare molto pericoloso, i film non hanno niente a che fare con il colore! Io non porto con me nessuna responsabilità in quel senso. Affatto. Poi, non ho niente contro Hollywood, mi piacerebbe anche far qualcosa lì, mi pare un sistema molto interessante, vivo, organico. Devo dire che questo è proprio un momento molto bello e molto sano per essere un regista, sia in Inghilterra, a Hollywood oppure a Berlino!”

Come ti senti più comodo, davanti o dietro alla macchina da presa? Idris ride e subito

yardie-first-look-lr-2confessa: “Ti dico la verità, mi è mancato tanto fare l’attore! Perché un attore arriva la mattina, poi se ne va. E basta, Io invece dovevo stare sempre lì, arrivare prima e andarmene per ultimo. Ma è un’esperienza bellissima, ho imparato tanto, soprattutto ad essere più organizzato perché nei dettagli c’è tutto, non puoi scordarti niente! Altra cosa che ho imparato è a usare la macchina da presa B, è una cosa molto tecnica e per me è stato fondamentale!” Dopo, Idris  si riferisce ai diversi formati e storie che ha affrontato come attore, personaggio e regista: “Nei miei lavori c’è sempre un senso di immersione in una cultura e in un conflitto che mi è alieno, e che è difficile da raggiungere. Per esempio, The Wire, la cultura profonda di Baltimore; Beast of No Nation, la cultura profonda e il conflitto in Africa orientale, con Yardie, nella cultura giamaicana a Londra. Non mi piace fare paragoni tra i miei film, ma ci tengo a approfondire, a mostrare qualcosa di autentico, a far sì che le persone si riconoscano in un modo o nell’altro nei miei film”.

A quanto pare, un importante giornale inglese non è stato benevolo con Idris e la sua cara opera prima. Almeno così ci rivela uno dei presenti all’incontro. Ma Idris non sembra affatto sorpreso, nemmeno preoccupato: “Allora, le recensioni brutte non possono distruggere la tua fiducia, ogni film che ho amato in vita mia è stato recensito male almeno una volta. Non voglio sembrare arrogante, ma veramente non voglio fare film per le recensioni, non mi pare giusto neanche logico!”

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