#Berlinale69 – The Boy Who Harnessed the Wind, di Chiwetel Ejiofor

Dal romanzo autobiografico di William Kamkwamba e Bryan Mealer, il primo lungometraggio da regista appare arido di idee, con frammenti di pallido formalismo. Berlinale Special

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Sceglie una strada sicura Chiwetel Ejiofor per il suo esordio nel lungometraggio, dopo i due corti Slapper (2008) e Columbite Tantalite (2013). Così sicura da apparire piatta. Basato su una storia vera e tratto dal romanzo autobiografico di William Kamkwamba e Bryan Mealer, The Boy Who Harnessed the Wind è ambientato in Malawi e vede protagonista un ragazzo di 13 anni, William (interpretato dall’esordiente Maxwell Simba)  che vive in un villaggio con la sua famiglia. I problemi iniziano quando non piove più e il luogo è minacciato dalla carestia. Lui non può più permettersi di andare a scuola e il padre lo manda a lavorare nei campi. Il ragazzo però, in segreto, riesce ad accedere alla biblioteca. e consulta dei libri in cui si parla di un sistema di irrigazione alimentato da un mulino a vento. Pensa così di mettere in pratica questo dispositivo per far tornare l’acqua. Per mettere in atto il suo progetto, ha però bisogo della bicicletta del padre.

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Sempre sulla stessa tonalità di luce. Dove la fotografia di Dick Pope mette in evidenza ogni dettaglio. E per sottolineare, come metafora, che la troppa luce indica la mancanza d’acqua. Il protagonista di 12 anni schiavo, che qui interpreta anche il padre del protagonista ed è anche autore della sceneggiatura, si limita a un adattamento senza rischiare nulla. La sua scrittura già segna la strada di un cinema ‘compositivo’ ma per nulla ispirato. Che perde spesso il contatto con la terra, evidente anche nel modo in cui filma l’arrivo della pioggia. Che fa recitare gli attori con un inglese elementare per rendere internazionale il prodotto. Ma per non perdere il contatto con le origini e con l’ambientazione del Malawi, lo mescola con la lingua chewa.

Il tema è dominante. Ma l’attore londinese non ha il coraggio di spingersi fino in fondo per un cinema classico. E allora inserisce frammenti di un pallido formalismo come la maschera all’orecchio e soprattutto la tempesta di sabbia. E anche da un punto di vista narrativo, spreca scene potenzialmente forti come il furto del cibo e la mancanza della scuola.

L’esordio di Eijofor appare più un capriccio che un’ossessione. Forse più che guardare al suo mentore Steve McQueen, potrebbe voltarsi dalla parte di Ridley Scott con cui ha girato American Gangster e Sopravvissuto – The Martian. Che per contemplare un luogo si può muovere e stare fermo. Come in Un’ottima annata. Qui invece c’è solo un cinema solo arido di idee.

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