#Berlinale69 – The Operative, di Yuval Adler

Scene d’azione ammortizzate, le regole del genere mantenute ma senza nessuna inventiva. Con la recitazione efficace e pesante di Diane Kruger, sulla falsariga di quella con Fatih Akin. Fuori concorso

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Forse già c’era l’ambizione della spy-story nell’opera prima di Yuval Adler, Bethlehem, che era stata presentata al Festival di Venezia alle Giornate degli Autori nel 2013. Proprio attraverso la figura del diciassettenne Sanfur, informatore dei servizi segreeti israeliani ma anche fratello  di uno degli eroidella militanza palestinese. Una doppia vita come quella di Rachel (Diane Kruger) reclutata dal Mossad per una missione sotto copertura a Teheran. E lì inizia una relazione con  Farhad (Cas Anvar), l´uomo che deve spiare. Ma la situazione diventa sempre più pericolosa. E lei decide di smettere. Ora però il suo capo di collegamento Thomas (Martin Freeeman) la deve trovare prima che possa diventare una minaccia per Israele.

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Adler non rinuncia alla struttura tradizionale del genere. Tratto dal romanzo The English Teacher di Yiftach Reicher Atir, depotenzia però la tensione per soffermarsi soprattutto sulla scissione delle identità della protagonista, dove Diane Kruger sembra quasi anticipare dalle espressioni del volto le mosse della sua protagonista. Ujn altro personaggio action dopo Oltre la notte di Fatih Akin (con cui ha vinto la Palma d’oro a Cannes come miglior attrice) attraverso una prova efficace e pesante. Che attira il film su di lei ma al tempo stesso ne sente il peso. Tra travestimenti, cambi di strategia, Adler cerca di soffermarsi anche sulla sua quotidianità a Teheran.  Ma lo sguardo scorre lentamente, quasi inutilmente contemplativo. Con le improvvise fiammate della sparatoria in ascensore. O l’incubo in ospedale, esempio di un film che appare sempre troppo carico. Dove c’è spesso l’inquadratura, il dialogo di troppo. E anche le scene d’azione, che in The Operative non mancano, appaiono spesso ammortizzate. Come l’incidente con l’auto. O la scena in albergo con Farhad. Ci sono i meccanismio del genere. Ma la tensione scarseggia. Poteva andare dalle parti di un dignitoso Doug Liman, come quello di Fair Game. Ma si avvicina più ai giri a vuoto di Tom Tykwer di The International.

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