BFM35 – Europe, Now! Incontro con Dominique Cabrera

Con una personale a lei dedicata, il Bergamo Film Meeting inserisce la regista Dominique Cabrera nella triade di Europe, Now! La regista ha presentato Corniche Kennedy in anteprima

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Con una personale dedicatale in questi giorni di festival, il Bergamo Film Meeting inserisce la regista Dominique Cabrera nella triade di Europe, Now! Nata in una famiglia di “pied-noir”, i cossiddetti francesi algerini rimpatriati dopo l’indipendenza, la cineasta ha conservato negli oltre trent’anni di lavoro, un legame identitario con l’Algeria che, insieme alla militanza politica e all’attenzione per le questioni sociali, costituisce tematica ricorrente e fondante della sua produzione. Con una carriera iniziata nei primi anni ‘80, la Cabrera è regista di fiction e documentari, oltre che attrice, produttrice, docente e scrittrice, e ha firmato lavori interessanti ed eterogenei, da Chronique d’une banlieue ordinaire (1992), passando per Demain et encore demain, journal 1995 e  Ça ne peut pas continuer comme ça (2013),  fino a Corniche Kennedy, il suo ultimo film del 2016, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Maylis de Kerangal e presentato in anteprima italiana al Bergamo Film Meeting. La regista ha incontrato il pubblico per parlare del proprio lavoro e presentare il film.

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corniche kennedy2Un film dalle tematiche forti, e molto care all’autrice: a Marsiglia, lungo la cosiddetta corniche Kennedy, un gruppo di ragazzi provenienti dai quartieri difficili, si appropria di una porzione di precipizio, tuffandosi nel mare da un’altezza vertiginosa, pericolosa, adrenalinica. Tra le storie drammatiche e le difficoltà di ciascuno, le vicende del gruppo di ragazzi, in particolare quelle di Marco e Mehdi, si intrecciano con la vita annoiata della ricca Suzanne, dando vita a un triangolo che ricorda le suggestioni di Jules et Jim o The Dreamers. Ma il pretesto di questa trama fin troppo composita e intricata, in cui ci sono di mezzo anche gangster locali e poliziotti che vogliono acciuffarli, sembra celare l’intenzione primaria della regista di prendere un respiro più ampio e immergersi nel pulsante racconto di vite voraci e ingorde. Il salto nel vuoto, la ricerca dell’adrenalina, del superamento dei propri limiti e di una identità imposta dal luogo e dalle condizioni di nascita, cerca nei volti dei tre personaggi principali, nelle loro corse in motorino, nello sfiorarsi, nel danzare, la pulsione vitale di un’esistenza che è un inno alla libertà più assoluta. Qui la compenetrazione tra i due generi attraversati dall’autrice, fiction e documentario, si sposa in un connubio particolare, visto che, come racconta la cineasta “molti di loro sono dei giovani che ho incontrato lì sulla corniche, con cui in osmosi abbiamo ricostruito la sceneggiatura. La prima volta che li ho visti da lontano, ho avuto un brivido”. C’è l’aderenza, l’importanza fondativa, anche qui in Corniche Kennedy, del luogo, specchio dell’accumularsi di tensioni, nodi esistenziali, identitari, sociali: “Il luogo per me spesso è lo  sfondo di partenza. Mi fa quasi da sceneggiatura, è il luogo che fa nascere in me l’idea di una storia; è quello che succede anche in Corniche Kennedy, ho letto il romanzo ma è stato proprio il luogo chem i ha condotto al film. I luoghi per me sono un po’ come dei volti. Mi sono resa conto che per me è estremamente difficile girare un film in studio… mi annoio un po’. È stata una gioia girare Corniche Kennedy, sulla corniche, con il mondo intorno che aggiungeva moltissimo a quello che stavamo facendo.”

corniche kennedy1Un’importanza del lieu che ricalca le circostanze particolari del vissuto geografico della regista, “avendo avuto la rottura totale dell’esilio, quando mi trovo in un posto sento il bisogno di restarci, di recuperare questa parte sparita con i miei film. Il sentirsi stranieri nel proprio paese, è sicuramente una cosa  che mi ha toccato moltissimo, come per tanti artisti la cui attività parte da una rottura, una perdita, una sparizione. Un’altra cosa a cui sono stata molto sensibile, è stato il movimento di emancipazione delle donne. Probabilmente queste due cose mi hanno resa molto sensibile di fronte alla difficoltà di vivere di molte persone.” La tematica della provenienza etnica ritorna a più riprese nel lungometraggio, e come piccole stoccate che cercano di sedimentare una riflessione, i protagonisti si passano la palla del discorso razziale, del problema religioso, del miscuglio di razze, senza disdegnare la tematica sociale.
E tornando alla professione registica, e alla varietà di generi che Dominque Cabrera ha sperimentato negli anni di carriera, del proprio approccio lavorativo dice: “Quando ho un’idea per un film, di solito viene in automatico con la sua forma e talvolta anche con un’idea di produzione. Il cinema è qualcosa di molto concreto. Avere un’idea del cinema per me si presenta come un’idea di modalità di fare un film, e a quel punto cerco di scavare quest’idea e di portarla agli altri. Ad esempio l’idea di documentario, per me, è quella di un incontro, con altre persone. cabrera2Quando faccio una fiction ho come l’impressione di lavorare di più sulla mia interiorità, è qualcosa di più intimo; ho fatto anche film autobiografici, e lì si tratta di partire da materiale personale… e allora in quel caos, è un lavoro quasi sperimentale. Quello che insomma cambia è il rapporto sociale con le diverse cose che vengono filmate: quando fai un documentario, c’è qualcosa di più libero che amo molto, perché c’è veramente un rapporto personale… quando faccio un film di fiction ho come l’impressione di cavalcare una tigre: interessante sicuramente, ma bisogna riuscirci. Il mio scopo è cercare di creare qualcosa di comunque artistico.  E del proprio amore per il cinema, come sia nato e come abbia influenzato il suo modo di approcciare all’arte, la regista racconta: “ho cominciato ad amare il cinema in maniera quasi ontologica, prima di amare degli autori. Quando ero piccola mio padre, in Algeria, aveva un negozio di fotografie e ogni tanto noleggiava un proiettore con le pellicole e le guardavamo. Erano film di Chaplin, oppure filmini amatoriali di famiglia. E nei film amatoriali viene filmato il presente, qualcosa di vivo, e credo sia questo che mi ha fatto una tale impressione da farmi diventare una cineasta. Quello che a me piace è riuscire a creare un film in cui ci sia qualcosa di vivo.

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