BFM35 – L’anteprima mondiale de Il chirurgo ribelle, di Erik Gandini

Presentato in anteprima mondiale durante la 35a edizione del Bergamo Film Meeting il nuovo documentario di Erik Gandini, l’incredibile vicenda del chirurgo svedese Erichsen in Etiopia

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Avevamo sbirciato la loro storia in La teoria svedese dell’amore, ma era già immaginabile allora che un vicenda forte come quella di Erik Erichsen e sua moglie Sennait si sarebbe prepotentemente imposta al centro dello sguardo osservatore del documentarista Erik Gandini. Inserito come una sorta di contraltare all’interno dell’argomentazione del regista su come la proverbiale efficienza scandinava si stia trasformando sempre più in un’arma a doppio taglio, dalle conseguenze socio-antropologiche allarmanti, il progetto che si sviluppa ne Il chirurgo ribelle diventa il ritratto ravvicinatissimo di un uomo e della sua straordinaria vicenda. Il titolo già ci fornisce qualche informazione su quello che vedremo, e tuttavia c’è la drammatica presa di coscienza di una verità scomoda dietro l’apparente leggerezza espositiva, che è propria anche della coinvolgente vitalità e simpatia del suo protagonista – ed è cifra stilistica propria di Gandini, con quella sua cinica ironia narrativa, che può piacere o meno e sicuramente ne ha fatto un autore controverso nell’accoglienza nelle sue due patrie, italiana e svedese, con Videocracy prima e La teoria svedese dell’amore poi.chirurgo ribelle1 L’avventura di Erik inizia un po’ più di dieci anni fa quando, dopo un trentennio passato a fare il chirurgo ortopedico in Svezia, decide con sua moglie Sennait di trasferirsi in Etiopia, prendendo in breve tempo la guida del reparto di chirurgia generale nell’ospedale della piccola cittadina di Aira, mentre sua moglie (originaria dell’Etiopia), è suo indispensabile braccio destro. Lì ci si arrangia con poco: un trapano da 15 euro può sostituire un sofisticato trapano chirurgico da quattromila euro, i raggi di una bici o le fascette metalliche da giardinaggio, perfino i fermagli per acconciature, tutto può diventare materiale utile per provare a salvare vite, in un posto dove le risorse economiche scarseggiano, i pazienti da visitare sono centinaia ogni giorno e bisogna perciò essere pragmatici e risoluti, e “l’unico limite è la tua creatività, come dice Erichsen stesso.

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Mi baso su delle statistiche, da quanto so la Scandinavia ha il più alto tasso di suicidi al mondo, la popolazione svedese ha un’altissima porzione di persone che si sentono isolate e sole, è un problema tale che la Croce Rossa ha cercato di mobilitare i parenti e i vicini per prendersi cura delle persone, e anche la percentuale di malattie psichiatriche è alta, anche tra le persone giovani”, commenta il dottor Erik Erichsen, presente con la moglie e il regista all’incontro con il pubblico che accompagna l’anteprima mondiale de Il chirurgo ribelle, nell’ambito del Bergamo Film Meeting di quest’anno (in arrivo la nostra intervista esclusiva con il regista Erik Gandini), “In Svezia ci sono molti disturbi, come bulimia e anoressia, che per esempio in Etiopia non esistono. La società svedese è iper burocratizzata, non solo nel campo sanitario ma anche giudiziario e scolastico, in tutto ciò che è amministrativo. gandini2Nel sistema sanitario svedese noi utilizziamo solo il 10-15% del tempo con i nostri pazienti e il resto viene utilizzato in burocrazia e amministrazione“. “Con un film puoi dire anche delle cose che a voce possono sembrare strane, fare paragoni di questo tipo, Etiopia/Svezia, questo ma anche l’altro film non sono film su dei Paesi ma su delle idee di come vivere la vita.”, racconta il regista del documentario in un Bookshop gremito di persone pronte a commentare e ragionare sui temi portati avanti dal documentario, “ogni paese ha prodotto serie televisive su questo tipo di contesti, e questo si spiega con il fatto che c’è sicuramente un interesse universale su quella che è l’attività di chi salva le vite delle persone. Io non ho mai visto un film o una serie girata su un ospedale da campo, dove la gente arriva troppo tardi o dove ci sono malattie che sono scomparse da tanto tempo da noi, o una sopportazione del dolore che per noi è inconcepibile. Una cosa interessante è stata che prima di andare in Etiopia siamo andati nell’ospedale del piccolo paesino svedese dove Erik lavorava prima. E il paradosso, quando siamo entrati nella sua sala operatoria di Aira, era che c’era un’atmosfera molto più leggera a facile da gestire, che era frutto della sua personalità, della gioia e dell’entusiasmo che ha, una voglia genuina e sincera di aiutare le persone, e mi ha colpito molto questa differenza“. L’energia del dottor Erichsen è palpabile anche durante i suoi interventi con il pubblico, e fortemente si percepisce il desiderio di divulgare ciò che in dieci anni ha appreso dall’eseprienza-limite etiope: Pensi di poter insegnare qualcosa al sistema ospedaliero svedese o italiano?“, domanda il regista a Erik, “Sì, per esempio come semplificare le cose“. “Avete batteri ultra resistenti in Etiopia?” “No, perché non ci sono i sistemi di sterilizzazione e igiene che ci sono in Europa e in Svezia, e i batteri imparano a resistere a queste cose; ho consigliato agli ospedali svedesi di spargere cacca di mucca nelle sale operatorie… non mi hanno dato retta“.

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