BFM36 – Incontro con Liv Ullmann

In chiusura di BFM36, un altro incontro con l’ospite d’eccezione, la madrina dell’evento di quest’anno, Liv Ullmann: si è parlato di Bergman, di cinema italiano, di arte “magica” del sentimento

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La 36esima edizione del Bergamo Film Meeting volge al termine: il festival bergamasco si concluderà ufficialmente domani 18 marzo con il passaggio di testimone a Bergamo Jazz, mentre la cerimonia di premiazione dei film in concorso si svolgerà questa sera alle ore 22:00 presso il palazzo dell’Auditorium. Questa edizione di BFM è stata particolarmente ricca di ospiti e artisti d’eccezione, con una vetta raggiunta grazie all’illustre presenza dell’attrice, regista e scrittrice norvegese Liv Ullmann, che è stata presente a Bergamo a partire dal 15 marzo come ospite d’onore e madrina di questa edizione del Festival, che le ha riservato una ricca retrospettiva con i suoi titoli più celebrati, una mostra fotografica, Liv & Ingmar, dedicata alla relazione artistica con il maestro Bergman, nonché un volume monografico a cura del Direttore Angelo Signorelli, completo di filmografia e saggi originali indirizzati alla brillante carriera dell’artista norvegese.

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Ullmann ha incontrato il pubblico di BFM già ieri sera, in un vero e proprio bagno di folla radunatosi intorno a lei; oggi invece, si è svolto presso il Palazzo della Provincia della città un incontro più ristretto al quale ha preso parte la stampa: Ullmann ha dimostrato subito un atteggiamento disinvolto, ponendosi verso i presenti in modo estremamente cordiale. Dopo i doverosi saluti istituzionali, il tempo è stato subito destinato alle domande e curiosità che i presenti hanno rivolto all’artista, con una prima domanda – inevitabilmente – riferita all’origine del suo incredibile sodalizio con il cineasta Ingmar Bergman, dunque il capolavoro Persona (1966), proiettato ieri sera e presentato da Ullmann di fronte a una sala gremita. L’attrice ricorda l’inizio del suo lavoro con il maestro, precisando tuttavia di avere avviato la sua carriera di attrice molto tempo addietro – forse, scherza, da quando aveva zero anni – e di quanto questo film abbia finito per cambiare la sua vita. Oggi, afferma Ullmann, si sente sempre più grata per quello che ha avuto, per l’accoglienza riservatale a BFM e per le persone stupende dedite all’arte tutta, che ha incontrato soprattutto qui a Bergamo. Poi, pensando al “suo” Ingmar, riprende uno dei dettami artistici più profondi della sua opera, che Ullmann ricorda fu pervasa sempre non solo da un tratto comunemente associato alla cupezza, quanto più all’umanità, alla responsabilità di chi ci sta intorno e alla ricerca dell’amore: «Come direbbe Bergman, c’è una realtà oltre la realtà, ed è nell’anima». Ullmann, come il maestro, afferma di sentirsi vicina a un’idea di arte del sentimento, una sorta di misteriosa e magica ricerca di ciò che ella definisce – sulla scia di una storia sull’universo che Bergman aveva imparato dalla nonna da piccolo – «destinazione sconosciuta», verso cui tutti gli essere umani tenderebbero nella vita, raggiungibile solo attraverso l’arte e dunque attraverso il sentimento. Riguardo al rapporto artistico tra i due, spesse volte l’attrice ha sostenuto di sentirsi il “portavoce” al femminile di Bergman, soprattutto nei loro primi quattro film girati assieme: «Non ce lo siamo mai detti apertamente… Ma, soprattutto in Persona, ho riconosciuto la situazione di vita nella quale lui si trovava in quel momento, silenzioso, un po’ “asociale”… Interpretavo lui e la sua anima». Nel loro sodalizio, ricorda Ullmann, non ci fu mai la possibilità di intervenire da parte sua, né di altri interpreti, dal punto di vista della sceneggiatura – racconta anche il caso de L’infedele (2000), girato da lei ma appunto scritto dal maestro – , della quale Bergman era incredibilmente “geloso”: «La sceneggiatura era molto importante per lui per essere riconosciuto (anche) come scrittore, cosa che è avvenuta in tempi più tardi… Proteggeva la sua scrittura!».

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Al di là del rapporto con Bergman, che ha inevitabilmente veicolato la più parte dell’incontro, si chiede anche a Ullmann della sua relazione con il cinema italiano, in particolare con Mario Monicelli e Mauro Bolognini. L’attrice ricorda di essersi sentita sempre a casa insieme a loro, nonostante non imparò mai una parola di italiano: «Mi hanno fatto sentire cos’era il cinema italiano, quello che per me era stato di De Sica, del quale condividevano la stessa caratura artistica. Durante le riprese con Monicelli mi sono sposata con il mio attuale marito e lui mi prestò il suo costumista per farmi cucire un abito nuziale che fu poi verde, non essendo prime nozze. Girare Mosca addio con Bolognini è stato fantastico: lui mi ha insegnato che restare in silenzio è negativo quando il mondo è pervaso dall’odio».
Infine, per rimanere più strettamente vicini all’arte recitativa di Ullmann, le si chiede quale fosse il suo modo di entrare dentro e poi uscire dal personaggio di un dato film: «Non porto i personaggi fuori dal set, anche perché non sono “personaggi”, io sono sempre me stessa! Vivo sempre di sentimenti e con sentimento, e questo può diventare anche problematico nei rapporti con gli altri». Ullmann sostiene, dunque, di avere sempre cercato dentro la propria anima la fonte di ispirazione per interpretare i suoi “veri” personaggi, sondandosi ella stessa come persona e spesso ricavando nuovi saperi e verità sul proprio conto, e qui ci racconta un aneddoto riferito alle riprese di Passione (1969), quando fu il suo corpo a reagire spontaneamente al primo piano di circa otto minuti e indicarle la via interpretativa giusta. Ma d’altronde, tutto questo è l’arte, la sua magia, la sua destinazione ignota: «Con l’arte possiamo compiere miracoli inaspettati!».

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