Bif&st 2016 – Incontro con Anne Fontaine

La regista francese ha presentato al festival, tra le Anteprime Internazionali, Les innocentes (Agnus Dei), che sarà distribuito in Italia da Good Films e uscirà in sala il prossimo ottobre

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Presentato, tra le Anteprime Internazionali del Bif&st 2016, la nuova opera della  regista francese Anne Fontaine, Les innocentes (Agnus Dei), che sarà distribuito in Italia da Good Films e uscirà in sala il prossimo ottobre.

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Interpretato da Lou de Laage  e Agata Buzek, il film si ispira alla vita di Madeleine Pauliac, giovane medico francese della croce rossa, militante nel movimento di resistenza nel 1945 e medico Ufficiale delle Forze Interne Francesi durante la missione di rimpatrio delle truppe da Mosca. La storia rivela uno degli episodi più gravi cui Madeleine dovette far fronte, ovvero l’ignobile tragedia dello stupro di massa in un convento di Varsavia, città “violentata” senza discrimine, prima dai tedeschi poi dai sovietici. Un orrore, di cui si ribadisce purtroppo l’attualità, laddove ancora oggi lo stupro viene perpetrato come sistematica arma bellica. Ecco, dunque, l’intenzione autoriale di recuperare la testimonianza della possibile ri-nascita, pur dalla tragedia, del riscatto laico dalla dannazione del peccato.

Nell’incontro con i giornalisti, Anne Fontaine, anticipa la sua riconoscenza verso i fratelli produttori, Eric e Nicolas Altmayer, per averle proposto questo soggetto, che sin da subito l’ha entusiasmata viste le potenzialità di superare la cronaca per aprirsi ad una riflessione quasi metafisica sulla dicotomia umana tra atei e credenti.

les innocentes“Era importante riuscire a definire i diversi caratteri delle suore”, dichiara la Fonatine, “soprattutto all’interno della loro comunità omogenea, al fine di marcare le differenti reazioni ad una maternità forzata, ed ecco, dunque, l’estrema importanza della scelta delle attrici, che avrebbero dovuto valorizzare i propri sentimenti anche solo attraverso il volto incorniciato dal velo”

Abbiamo chiesto all’autrice di raccontarci il lavoro svolto proprio sulla specularità di fondo delle protagoniste; da un lato una donna di scienza, votata all’osservazione comprovata, dall’altro donne di fede e clausura, che pure ritrovano la loro esclusiva comune umanità, nell’ineluttabile vulnerabilità fisica: “E’ stato molto interessante studiare l’evoluzione dei due mondi che si incontravano. La dottoressa all’inizio è una donna cartesiana, pronta a salvare vite, ma senza addentrarsi nei risvolti psicologici, tuttavia, inizierà ad aprirsi allo stravolgimento del senso dell’esistenza e cambierà il modo di approcciarsi a queste particolari pazienti, che per voto rifiutano di mostrarsi ed essere toccate; allo stesso modo le suore pian piano iniziano a trasgredire. All’interno della narrazione è molto forte il tema della disubbidienza, una disubbidienza sana, che porterà questi due mondi ad incrociarsi nella cooperazione per la salvezza di singole vite, ciò che tutte riconoscono come l’atto di valore assoluto, al di là di ogni credo religioso o politico.”

Ed infine, sulla scelta registica di spingere quanto più a fondo sulla rappresentabilità delle operazioni ostetriche, quindi sul realismo fisico di carne e dolore: “Mi sono lasciata guidare dal soggetto, per cercare di mostrare il parto, la nascita in tempo reale ed è stato molto difficile, perché eravamo in un convento polacco a – 17° con dei neonati. Ho trovato che fosse bello mostrare proprio la fisicità dell’evento della nascita, nella sua bellezza e crudezza insieme. Abbiamo lavorato molto per trovare un equilibrio di luci ed indispensabile è stata la collaborazione con una grande direttrice della fotografia, Caroline Champetier, che ha saputo mettere in risalto lo splendore dei volti illuminati, secondo uno stile monocromatico molto vicino al bianco e nero, affine all’estetica pittorica delle Madonne con bambino. Così da riuscire a comunicare uno slancio quasi impossibile di speranza”.

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