Big Eyes, di Tim Burton
Burton rinuncia consapevolmente a ogni slancio immaginifico alla Dark Shadows per distillare il suo cinema in un singolo percorso di redenzione: gli occhi dipinti da Margaret Keane, allora, diventano i big eyes di Frankenweenie o Jack Skeletron, di Edward mani di forbice o Ed Bloom, ossia quelli di un cineasta ormai irrimediabilmente “adulto” che lotta ancora per restare “bambino” firmando nel 2014 un film minore eppure bellissimo
Quelli dipinti da Margaret Keane non possono che essere i Grandi Occhi di Tim Burton sul mondo. Il film inizia dall’iride di una bambina dipinta, fuoriesce da uno sguardo puro che si fa opera e poi subito copia indistinguibile. È già una rotativa che serializza il cinema e lo serigrafa, come certifica la citazione iniziale di Andy Warhol che ci immerge immediatamente nell’atmosfera pop di questo Big Eyes. La storia è risaputa: siamo nella San Francisco degli anni '50; una giovane pittrice e madre divorziata (la sempre più efficace Amy Adams) dipinge con passione bambini dagli occhioni sproporzionati; poi il nuovo matrimonio con un presunto pittore di scuola francese (un Christoph Waltz che tenta movenze alla Jerry Lewis) che fiuta l’affare e si spaccia per l’artista di famiglia “perché le donne pittrici non sono credibili”; infine il successo enorme di quel brand e i dubbi identitari di lei che mettono a repentaglio l’impero economico.
Ma chi è veramente questa Margaret Keane? Partiamo da qui: ci troviamo di fronte al secondo film biografico firmato da Burton dopo Ed Wood, sceneggiato guarda caso dagli stessi Scott Alexander e Larry Karaszewski, che come allora danno vita a un’opera produttivamente “piccola piccola”, solo dieci milioni di budget, rinunciando a tutto l’inconfondibile e usuale apparato effettistico del cineasta. Nel contempo Margaret è l’ennesimo personaggio ingenuo e naif della “galleria” burtoniana, un’anima pura che oppone la sua intima alterità come fragile barriera verso un mondo che le impone scelte obbligate. L’arte è di nuovo il felice rifugio dove stabilire le “emozional connected” necessarie per vivere: e allora la firma è importante, l’identità dietro quegli occhi diventa la vita, Margaret non può tollerare a lungo che se ne impossessi Walter per puro spirito imprenditoriale. Lui, del resto, non ha talento artistico ma è un formidabile bugiardo-narratore (un regista? Beh, si sta parlando decisamente di cinema qui, tra arte e commercio) che crea il Mito e serializza il successo: come se il Frank Abagnale di Catch Me If You Can incontrasse Ed Wood e ne proiettasse le “qualità” alla conquista del mondo. Il ragionamento sugli anni ’50 e '60 come culla dell’arte moderna, pertanto, è coltissimo: Burton marca, riproduce e serializza i segni di un’epoca (persino i Campbell’s Tomato Soap warholiani) riproducendoli oggi come se il cinema di Douglas Sirk o i quadri di Norman Rockwell venissero filtrati affettuosamente dall’universo parallelo della sognante Peggy Sue di Coppola.
Ecco: ciò che colpisce di questo film così programmaticamente piccolo è proprio l’anacronistica semplicità e linearità, di narrazione e di messa in scena. Burton rinuncia consapevolmente ad ogni orpello barocco e tiene incredibilmente a bada ogni slancio immaginifico alla Dark Shadows, solo per distillare il suo cinema in un singolo percorso di “redenzione”. Ed Wood e Big Eyes, allora, sono film intimamente personali perché disegnano il controcampo umanissimo di ogni altro “quadro” burtoniano: sono film (auto)biografici perché raccontano il sentimento che c’è dietro uno sguardo divenuto talmente “popolare” da conquistare il mondo. Gli occhi di Margaret Keane diventano in un istante i big eyes di Frankeweenie e Jack Skeletron, di Beetlejuise e Edward mani di forbice, degli alieni di Mars Attacks e di Ed Bloom, ossia quelli di un cineasta ormai irrimediabilmente “adulto” che lotta ancora per restare “bambino” guadagnandosi piccoli e preziosi istanti di emozional connected con le sue immagini. E firmando nel 2014 un film minore eppure bellissimo. “Io posso dipingere solo ciò che conosco”, continua a ripetere la dolce Amy Adams: solo i big eyes di Tim Burton sul mondo.
Titolo Originale: id.
Regia: Tim Burton
Interpreti: Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Jason Schwartzman, Terence Stamp, Krysten Ritter, Jon Polito
Origine: Usa, 2014
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 104'