BIOGRAFILM 2011 – Marwencol, di Jeff Malmberg

MARWENCOL, di Jeff Malmberg Popolata dai suoi amici e dai suoi familiari, Barbie futuribili, SS che riemergono dalla terra e macchine del tempo, dalla morte, ma anche dall'amicizia, Marwencol più che una dimensione parallela, è la parabola fantascientifica e interattiva della ricostruzione di una coscienza distrutta. E anche questo micro-universo si sdoppieraà in un universo ancora più piccolo, come in una pagina di Borges, dove un uomo scopriva di essere nient'altro che il sogno di un altro uomo.

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MARWENCOL, di Jeff Malmberg Il regista Jeff Malmberg, al suo esordio (girato in digitale, super8 e stopmotion, premiato con il Gran Premio della Giuria al SXSW 2010 e in numerosi altri festival) appassionato di Herzog, nasce editor (allievo del montatore di Fincher, l'Angus Wall di Panic Room, Zodiac, The Social Network,The Girl with the Dragon Tattoo), e non è un caso. 

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In Marwencol, film di inaugurazione del Biografilm 2011, Malmberg sfrutta il suo talento tecnico per restare ai margini, rispettosamente, della parabola esistenziale di un uomo che vediamo camminare ogni giorno per tre chilometri trascinando una camionetta militare con i suoi eroi armati fino ai denti. La passeggiata per andare a lavoro, un lavoro umile che Mark Hogancamp faticosamente cerca di riaffrontare, è anche un modo per reimparare a tenersi in equilibrio sulle sue gambe e una strategia per sporcare le gomme della vettura: "appena comprate, erano troppo pulite. Sembravano finte". C'è solo un piccolo spazio, diversamente da molti documentari tradizionali, per i commenti di amici e familiari, che si limitano a presentarsi insieme ai loro alter-ego bambole (una mamma affettuosa ha le sembianze di Pussy Galore di 007, all'amica del cuore Mark regala la storia d'amore con una bambola con le fattezze di Steve McQueen, il medico che lo ha assistito è un valoroso soldato) ai ruoli che Mark ha assegnato loro per "tenerli vicino a sè" nella sua città fantastica.

Mark Hogancamp in MARWENCOL, di Jeff Malmberg Ma il cuore del film è destinato a narrare dall'interno la vita di Marwencol, quasi chinandosi all'altezza delle bambole, come Mark che striscia da soldato, nella giungla che si è costruito nel giardino di casa, per riprenderle, pazientemente fissare in ogni microscopico inquietante particolare un bacio vertiginoso, una mano su una spalla, la carezza sul dorso di un cane, il pianto di fronte a un commilitone morto.

"Non so chi ero" (e non so chi sono): è un uomo solo che si avvicina alla mezza età, Mark stesso è un montatore, rimonta la sua vita minuziosamente con le emozioni dei suoi personaggi rivelando le proprie. E in un qualche modo misterioso, via via che il documentario procede, le fotografie che Mark scatta alla vita immobile di Marwencol ci sembrano davvero foto d'epoca, e i volti paralizzati delle bambole suggeriscono lo stesso struggimento che ci assale davanti alle vecchie polaroid della nostra infanzia – e appaiono paradossalmente più vere delle "vere" foto di Mark, quelle della sua vita pre-aggressione.


Bowery Derelicts, una scultura di Duane Hanson, Museum of Modern Art, ViennaMarwencol non è un fumetto e non ha niente di "pop": forse solo le sculture iperrealiste di Duane Hanson provocano un'emozione simile. Ma, come spiega Tod Lippy, editore della rivista Esopus, dedicata ad artisti emergenti non convenzionali, che è stato fulminato dall'autoterapia di Mark, trasformandola in una mostra fotografica, il suo lavoro possiede una qualità che nessuno sforzo artistico, concettuale, può riprodurre: un'onestà raggelante.

"Gli artisti contemporanei usano l'ironia, la distanza, strizzano l'occhio per essere furbi o sovversivi" (è vero, un nome su tutti: Cattelan). Marwencol invece è un regno incredibilmente drammatico, nel duplice senso della messa in scena e della crudeltà.

"È tutto vero" ripete Mark, mostrando una valigetta che contiene minuscoli dollari, un minuscolo detonatore e un minuscolo certificato che lo garantisce quale proprietario dell'esclusivo bar di Marwencol, "Calze smagliate Hogancamp", un pub dove soldati tedeschi e americani bevono assieme assistendo allegramente ai catfight delle 27 barbie del villaggio. La città ha le sue proprie regole – "fare modellini è come avere una piccola società fuori dalla società" dice Mark, e questo è un luogo eversivo, dove convivono il bisogno d'amore e la rappresentazione macabra, l'immaginario sbrigliato e la durezza della realtà.

MARWENCOL, di Jeff Malmberg Mark stesso, scopriremo più tardi, era un alcolista, (nel film vediamo i suoi bellissimi e raccapriccianti disegni, dopo l'incidente la capacità di disegnare gli è stata tolta e deve forzare le sua mani a non tremare) ed è stato pestato a morte da cinque teppisti per aver rivelato in una sera di ubriachezza la sua passione per i vestiti femminili: gli piace indossarli e a casa un armadio contiene centinaia di scarpe da donna.
Eppure, come in Herzog, non si vuole restituire un ritratto idilliaco di "idiota sapiente": l'alterego che si è scelto a Marwencol è infatti un tipico macho americano, una specie di Top Gun senza paura, e le donne del villaggio incarnano tutti i clichè del peggiore maschilismo. Al tempo stesso i soldati catturati nella vita del villaggio stringono a sè orsetti di peluche e le pupe si chiamano Svetlana o Strega del Belgio, sono delle creature spregiudicate, totalmente tarantiniane: sono sempre loro a salvare l'eroe, maneggiano armi, tagliano gole, pur vestite di latex, tacchi, perle, pizzi, autoreggenti e spesso dedite a intrattenere sessualmente gli avventori del bar. Eppure, anche il clichè – l'abbraccio tra la donna e l'eroe, la guancia di lei che si sporca del sangue di lui – in Marwencol è una mitragliata di commozione.

MARWENCOL, di Jeff Malmberg Una macchina del tempo (che Mark ha ingegnosamente costruito con un vecchio videoregistratore rotto) permette a una di loro, deus ex machina, di intervenire al momento giusto, ma solitamente Mark non richiede a se stesso nemmeno la sospensione dell'incredulità: proprio perchè Marwencol non è un gioco, riproduce anche i tempi morti della vita nel villaggio: sedere al sole, guardare l'orizzonte, mangiare, riposarsi. Mark fa rivivere al suo alterego di plastica centinaia di volte la sua tragedia: l'aggressione dei cinque balordi diventa la tortura da parte di cinque feroci nazisti.

L'opera diventa universale, cannibalesca, meravigliosamente efferata: teste decapitate nella neve, corpi che affiorano dalla terra, sangue ovunque. Il matrimonio del suo alter-ego con la bella soldatessa Anna viene celebrato con alle spalle i cadaveri impiccati dei nemici. Eppure tutto questo, di nuovo, non ha niente di pop, niente di postmoderno, e il valore del documentario di Malmberg risiede soprattutto nel sottolinearlo ad ogni sequenza.



Il documentario, che si chiude con la scelta di Mark di affrontare le sue peggiori paure e fare un'incursione nel mondo oltre-Marwencol – e per di più quello della metropoli, New York, per intervenire al vernissage delle sue opere, che è stato organizzato in una galleria d'arte. Sceglie, anche se terrorizzato, di mostrare al mondo quella che è a tutti gli effetti la sua vita più intima. Mark Hogancamp in MARWENCOL, di Jeff Malmberg In effetti, negli spazi della mostra newyorchese l'universo di Mark perde qualcosa: le sue bambole raccontate nelle fotografie sono meno struggenti che colpite dagli elementi, sporcate di fango, neve rappresa e illuminate misteriosamente dal sole di una tipica casa di provincia americana.

Eppure anche l'esperienza della sua nuova veste di artista, in Mark non può fare a meno di mescolarsi con i suoi desideri, le sue speranze, la sua ricerca di una nuova vita, letteralmente costruita attraverso i modellini. "Mi aspettavo che qui al Greenwich Village tutti andassero liberamente per la strada in tacchi alti e vestiti di piume" osserva tristemente. Alla sua mostra, è certamente a disagio, e il candore con cui illustra le sue foto lascia tutti di stucco: invece delle didascalie, ci sono i suoi racconti: "Queste sono le SS che mi catturano, questa è Anne che viene a salvarmi, dimostrando che mi ama". Il mondo reale è pericoloso, ti attaccano alle spalle, e a Marwencol, che pure vuole essere autoterapia, non c'è illusione: avviene lo stesso.



Il meet the artist sfuma nel finale in un'immagine se possibile ancora più vertiginosa, la Synecdoche di Mark: sopravvissuto più che artista, artista suo malgrado, fa costruire al suo alterego bambola un altro universo ancora più piccolo, una Marwencol ancora più precisa e minuscola: in città sono entrati nuovi personaggi: il fotografo che lo ha scoperto, il gallerista che lo ha esposto, perfino il regista del film, con una mini-videocamera. Come in una pagina di Borges, dove un uomo scopriva di essere nient'altro che il sogno di un altro uomo.

 


MARWENCOL, di Jeff Malmberg – il trailer

 

Visibile anche sul sito ufficiale. Le clip dal film su VIMEO


I trailer del Biografilm Festival 2011

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