Blog DIGIMON(DI) – Siamo noi i fantasmi?

Lo sai che siamo tutti morti
e non ce ne siamo neanche accorti,
e continuiamo a dire e così sia.

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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(Io ti racconto)

C’è un’inquietudine profonda, che serpeggia tra le pieghe delle immagini e dei suoni di questi “maledetti tempi”.  Come se “i figli della bomba atomica e della Coca Cola”, la generazione vissuta “in tempo di pace”, fosse giunta al capolinea e, con essa, l’intero immaginario globale collettivo.

Film, Serie Tv, Spot, ogni immagine sembra volere solo ed esclusivamente parlarci di morte. Ma non siamo dentro un film di Romero o in The Walking Deads.  No, qui i morti ci parlano, ci osservano, ci giudicano, addirittura….desiderano! E forse….

Ma andiamo per gradi (non in ordine, quello ormai è del tutto perduto, “appartiene ai vivi” mentre qui, come diceva Totò ne “A livella” “Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: 
nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”)

Un segno dall’aldilà

the discovery 3

Forse possiamo partire da un film Netflix, è già questo è un segno dei tempi (e la “battaglia” tra Cannes e Netflix non ci appare già come una sorta di marcia funebre di quello che una volta era il cinema?): The Discovery (La scoperta), di Charlie McDowell (sì, il figlio del protagonista di Arancia Meccanica, a proposito di morti e resurrezioni…).

Gli scienziati dopo lunghe ricerche, alla fine hanno scoperto che esiste qualcosa dopo la morte. Esiste l’aldilà, un altrove possibile. Questa scoperta, nell’affermare quello che per millenni tante religioni hanno proclamato, invece di rendere la vita migliore e più vivibile a tutti, provoca milioni di suicidi, tutti spinti inesorabilmente verso “una vita migliore”.  Ma lo scienziato che sta dietro a questa scoperta (Robert Redford) vuole cercare di catturare qualcosa, dei suoni o delle immagini di questo altrove.

E cosa ci racconteranno i morti, una volta che saremo riusciti ad entrare nelle loro anime “in partenza”?

Fthe discoveryorse che i morti vengono a raccontarci il passato, come un dejavu, una “registrazione” emozionale e visiva di quello che siamo stati? No. Sorpresa: i morti ci raccontano i desideri, quello che non siamo riusciti a fare ma che tanto avremmo voluto. La morte ci riconsegna alle occasioni perdute, al bivio delle nostre azioni, al crocevia delle nostre emozioni.

Non sembra esserci scampo, per i vivi.

Per recuperare quello che si è perduto o non si è riusciti ad afferrare. Siamo corpi abbandonati alle passioni, ma nelle serie tv più illuminate di questi tempi, questi corpi sembrano appartenere al passato. Persino The Affair, la serie più lucida e sensuale sul viaggio continuo di andata e ritorno dei desideri, sembra raccontarci di corpi già morti. Non ce lo racconta la storia, ancora (con l’esclusione del fratello morto della prima stagione). Ma sembra con molta insistenza raccontarcelo, di stagione in stagione, la sigla della serie, dove i protagonisti sembrano dei cadaveri abbandonati alle correnti dell’Oceano.

sigla The affair1sigla the affair 2

E, da un Oceano (Atlantico) all’altro (il Pacifico), Big Little Lies sembra rovesciare lo spunto di qualsiasi trama giallo/noir: non più chi è l’assassino… ma: chi è il morto? E mentre assistiamo alle diatribe di questa piccola comunità benestante dell’America del XXI secolo,  qualcuno ci racconta che c’è stato un assassinio, qualcuno è morto, qualcuno indaga… e dentro le radici della storia scopriamo una violenza che è qualcosa di intimamente familiare, molto vicina, troppo vicina…

Vedere la morte in faccia

virtual crash Paris

E che altro è Tom Hardy in Taboo se non un “morto che cammina”?  Ma forse quello che maggiormente sembra raccontarci la “paura della morte” di questi tempi “di pace”, è proprio The Virtual Crash Billboard, un’innovativa (e inquietante) campagna  francese per evitare le stragi di pedoni sulle strade, in particolare per la distrazione di questi ultimi. Il video qui sotto racconta bene di cosa si tratta: il passante viene “aggredito” da un’incidente virtuale, come se un’automobile stesse inutilmente frenando e, inevitabilmente, investendolo.  L’espressione di paura del pedone spaventato a morte viene poi mostrata attraverso uno schermo, in una sorta di pubblicità interattiva dove, sul modello di You Tube, il soggetto siamo noi: o meglio, la nostra paura, noi un attimo prima di…morire!

Siamo già morti?

E quello che traspare in Tokyo compression, opera singolare del fotografo tedesco Michael Wolf. Nel raccontare la particolarità dell’affollamento della metropolitana di Tokyo nelle ore di punta, Wolf è riuscito a rappresentare un’umanità schiacciata, compressa, qualcosa che va oltre il senso di pura claustrofobia di un vagone stracolmo di persone. Quello che colpisce in questi volti schiacciati sui finestrini dei vagoni del metro, sono proprio quegli occhi chiusi, come addormentati, quasi rassegnati, senza futuro….

Michael Wolf 1

 

 

 

 

 

 

 

 

Segnali dall’altro mondo

E mentre apprendiamo che circa il 4% della popolazione ha avuto esperienze di premorte e alcuni medici ci spiegano cos’è una Nde (esperienze di premorte) e perché può verificarsiuna serie tv per teenagers e un film horror d’autore, sembrano lanciarci come dei segnali definitivi.

Da un lato 13 (13 Reasons Why), che racconta di una lunga serie di piccoli gravi accadimenti in un gruppo di liceali che porteranno al suicidio di una ragazza, Hanna Baker. Dall’altro invece Personal Shopper è un film sulla perdita (del fratello gemello della protagonista Kristen Stewart),  che  spingerà la ragazza alla ricerca continua di un segnale, di un contatto con l’aldilà.

20170405_231103(0)Prima era tutto meglio” dice Clay, il coprotagonista di 13, quando ascolta la musica new wave poco prima di ricevere delle musicassette dal suo amico (“forse c’è un messaggio per te dall’aldilà”). Cosa vi è contenuto in questi oggetti di pura archeologia tecnologica? Il racconto di una morte. O meglio di una morta. Perché tutto 13 Reasons Why  (come fosse il William Holden di Sunset Boulevard“vive” del racconto di una ragazza morta, Hanna Baker. Una cassetta, un motivo della sua morte. Una persona che ha fatto, o non ha fatto, qualcosa. E mentre Clay rivive con i tempi lunghissimi e “morti” dell’adolescenza questo ascolto prolungato che sembra davvero infinito, ecco che, nei suoi incubi/deliri immaginari, riesce finalmente ad esprimere con forza i suoi sentimenti. Ma è troppo tardi, è solo un sogno. 20170525_234841Perché non me lo hai detto quando ero viva?”, gli dice Hanna. Ecco, tutto questo lungo e insostenibile viaggio a ritroso nelle motivazioni per un (evitabile?) suicidio, sembra essere la metafora di quello che siamo (nell’età dell’adolescenza, come luogo impossibile): esseri fragili e perduti, incapaci di dire la parola giusta, di esprimere veramente se stessi, di non farsi schiacciare dalle “relazioni sociali”.

Personal Shoopper sembra uscito direttamente (e magnificamente) da una costola di Sils Maria. Lo dice anche con chiarezza Kristen Stewart : “Si, in Sils Maria, Maria, interpretata da Juliette Binoche e il mio personaggio Valentina discutono di cinema. Sono in disaccordo su un film che hanno visto sui mutanti nello spazio. Valentina sostiene che c’è molta più verità nei film di fantascienza o nei fantasy che in molti film impegnati. Questi film usano simboli e metafore – ma non lo fanno in maniera superficiale e negli ultimi anni trattano degli stessi argomenti ed esaminano gli stessi soggetti di cui sono oggetto i film che trattano esplicitamente di psicologia. È divertente pensare che Olivier ha tratto letteralmente spunto per questo film da una frase di Sils MariaPersonal Shopper è anche un film di genere, molto diverso da quelli proposti dagli autori francesi. È un film di genere che sceglie di non spaventarci con i fantasmi ma ci offre invece una riflessione profonda sulla realtà e pone quello che secondo me è l’interrogativo più terrificante sulla vita: “sono completamente sola o posso entrare veramente in contatto con qualcun altro?”

Ormai la lucidità degli interpreti rende ancora più obsoleto il lavoro “sui morti” più inutile che ci sia, quello del critico cinematografico…

In Personal Shopper Lewis, il fratello morto, “parla” con i segnali, da un aldilà cosi vicino da renderlo quasi empatico. Hanna Baker, in 13, da morta, si è impossessata della storia, e rinarra il tutto dal suo punto di vista, obbligando gli altri ragazzi all’ascolto. Ecco: i morti prendono la regia della vita dei vivi.

I morti, dunque, parlano, quasi “governano” (divertitevi a immaginare le connessioni…)

personal shopper futuroE se “Il futuro è finalmente arrivato” (l’artista Hilma af Klint che anticipa l’astrattismo ma affida le sue opere “post mortem” dopo vent’anni…), oggi, siamo noi i fantasmi?

O il cinema…

 

Sei tu Lewis?
O sono solo io?

(Personal Shopper)

personal shopper finale

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