Blog MONTAGGI – Cinetreni

Il treno è qualcosa che da sempre ossessiona il cinema. Si è partiti (una delle tante origini) da un treno – non tanto quello dei Lumière che si fermava a La Ciotat, quanto quello su cui viaggiava, a metà del XIX secolo il giovane giornalista Victor Hugo che, guardando fuori dal finestrino non vedeva panorami o paesaggi, ma flussi di colori, movimenti di mondo, la realtà che diventava spettacolo in movimento.
Essere immobili e guardare un finestrino, attraverso un finestrino come attraverso uno schermo: guardare un mondo che si offre in movimento. Ecco il principio del cinema o meglio, uno dei principi. Perché in realtà il dispositivo della visione che il treno offre è duplice: il suo movimento e il suo sviluppo in orizzontale permettono di guardare all’esterno e all’interno; all’esterno il mondo come spazio da esplorare o da cui fuggire, e all’interno i corpi dei passeggeri, le loro storie, illusioni, i loro desideri e le loro paure. Il cinema ha sempre giocato su questo doppio punto di vista, mostrandone spesso la dialettica nascosta.
Dialettica che ha sempre a che fare con l’orizzontalità del treno, il suo svilupparsi come una teoria di vagoni che permettono un movimento orizzontale, e che determinano la posizione dei corpi all’interno.
La teoria dei corpi: come in Mad Max-Fury Road di Miller, altro film la cui struttura orizzontale (la corsa e l’inseguimento) costituisce il movimento primo del film. Il film di Miller è in questo senso una visione archetipica, una teoria, un nastro che accumula momenti di cinema allucinato ed eccessivo attraverso il lungo ed infinito inseguimento che costituisce il film. La carovana di Mad Max è come un ideale treno cinematografico? Forse. O forse, il montaggio tra le immagini pur partendo da qui deve spostarsi ora da un’altra parte.
Ed ecco allora due visioni possibili del (e dal) treno cinematografico, dal cine-treno.

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In TransitIn In transit (2015) ultimo film diretto da Albert Maysles e da un gruppo di giovani registi della sua factory, le videocamere non puntano l’esterno, ma percorrono il treno (L’Amstrack Empire Builder, uno dei più famosi treni a lunga percorrenza americani) in lungo e in largo, collezionando volti, conversazioni, confessioni in macchina, frammenti di storie, desideri, sogni. Il film si pone come una teoria di volti e di parole, e la visione è interna, perché è il mondo che il treno rappresenta ad essere al centro della rappresentazione. Ma l’esterno non scompare, non si annulla: la camera inquadra i corpi insieme allo spazio della visione dei finestrini, insieme al mondo che scorre a lato, accanto, davanti o dietro i personaggi. Il mondo non scompare, ma viene evocato, perché si è sul treno solo temporaneamente, e prima o poi si ritornerà nel mondo. Ecco allora un primo livello della dialettica della visione: in In transit l’interno e l’esterno si richiamano, uno è evocato dall’altro, anche se resta il fuori campo della visione. Strangers-Meet-in-Observation-Car_tiny-350x201
Ma se il mondo scompare? Che fine fa la dialettica tra interno ed esterno? Può annullarsi oppure essere inglobata all’interno del treno. Si torna allora a Le Transperceneige, graphic novel visionaria radicale di Jacques Lob e Benjamin Legrand (testi) e Alexis e Jean-Marc Rochette(disegni) che diventa film per la regia di Bong Joon-ho (Snowpiercer, 2014).
Anche qui è l’orizzontalità a costituirsi come movimento primario, anche qui conta solo l’interno, perché l’esterno (il mondo) è ormai distrutto, ridotto ad uno spazio glaciale, senza più vita.

orizzontalità assoluta del movimento delle immagini

Ciò che resta dell’umanità è tutta stipata all’interno di un treno che fa il giro del mondo ciclicamente. Tutto è dentro, tutto è interno. Tant’è che in Transperceineige il movimento stesso delle vignette è costruito sulla orizzontalità stretta ed opprimente del treno; mentre Bong lavora per fare di ogni vagone (il treno è strutturato come una società divisa rigidamente in classi sociali), un mondo, o una parodia del mondo che non esiste più. Il finestrino non rimanda più ad un mondo esterno, ma riflette ciò che accade all’interno, in un interno sempre più soffocato da inquadrature che non lasciano più spazio al fuori campo.

Snowpiercer - Il mondo concentrato
È l’orrore visionario e irridente di Bong che rilegge la distopia feroce della graphic novel francese. Ed è l’altro livello della dialettica della visione. Laddove il mondo scompare completamente e il treno non rimanda più ad un esterno, allora la visione è negata, e il cinema lavora il proprio negativo sotto forma di teoria interminabile ed orizzontale.

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