Blog SOLDOUT. Ricominciare da Utøya – 22 luglio

Stiamo diventando, potenzialmente, tutti Anders Behring Breivik. Torniamo sul film di Paul Greengrass presentato a Venezia e ora disponibile su Netflix

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Matteo Salvini non lo sa ma Anders Behring Breivik lo segue. Lo immagino non perdersi neanche una delle dirette del ministro. Fisso sullo schermo annuire con qualche commento di approvazione quando si parla di immigrati e di Islam. L’amico Breivik gli lancerebbe qualche invito per andare ad Oslo (*) ad una delle convention segrete dei Templari. E poi eccoli insieme nel selfie con l’immancabile felpa ‘Norvegia’. Purtroppo questo ‘quasi amici’ non si farà mai, ma solo perché Anders è dal 2011 chiuso in un quadrato di cemento che lo isola dalla comunità progressista norvegese che lui il 22 luglio di 7 anni aveva deciso di sterminare iniziando dal palazzo del Governo e proseguendo poi la follia sanguinaria sull’isola di Utøya massacrando 70 ragazzi inermi. “Uno degli episodi più assurdi della lunga stagione di sangue di questi anni e l’occhio da cronista di Paul Greengrass. Per lui la storia è, innanzitutto, quella accaduta”, scrive l’ottimo Aldo Spiniello nella recensione del film. 

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Matteo Salvini non lo sa ma 22 July diretto da Paul Greengrass e prodotto da Netflix, parla anche della sua politica. Parla della nostra Europa, parla di noi. Come sono andate le cose quel giorno è già storia. Una tragedia immane che ha colpito il cuore dell’Europa democratica e multiculturale. Come stanno andando le cose ora forse a qualcuno sfugge. Ci spingiamo sempre più verso un confine sconosciuto che divide le comunità, dall’esterno e dall’interno, alziamo i muri e togliamo diritti pensando di difenderci. Stiamo diventando, potenzialmente, tutti Anders Behring Breivik. Non dico che tutti un bel giorno usciamo di casa e iniziamo a sparare al primo uomo di colore che incontriamo, anche se la cronaca inizia a segnalare episodi molto simili, ma tendiamo sempre di più a pensare di poter trovare una nemico lì fuori. Un bersaglio a cui dare tutte le colpe. C’è una scena di 22 July in cui l’avvocato di Breivik, Geir Lippestad, incontra la madre per cercare di convincerla a testimoniare la follia del figlio, prima di congedarlo la signora ammette con un filo di voce che in fondo comprende quello che ha fatto Anders. Non è la giustificazione di una mamma distrutta ma è l’humus sociale quieto e bonario dove cresce l’odio, il fanatismo, i pregiudizi e l’effimero nazionalismo etnico. Prima noi…declinato per ogni Stato europeo. L’esclusione di chi non è come me per nascita ed estrazione sociale, per il colore della pelle o per la religione.

 

Anders Behring Breivik raccoglie la sfida. Decide di mettere in pratica quello che altri scrivono sui social, mascherati dietro un profilo fake pronti a vomitare giorno e notte odio e insulti verso la parte opposta. L’algido ragazzetto senza presente diventa l’angelo del male dei reietti, esce dal guscio per trasformarsi nel vendicatore della razza e avere finalmente la sua platea mondiale. Il film contrappone lucidamente i due mondi che vanno in conflitto e fa in modo che nessuno esca vincitore perché oggi è così che l’Europa si sente di fronte l’avanzata di un sentimento nazionalista e anti-europeo. I giorni in cui ogni nazione si sente accerchiata e scivola verso l’oblio. Chi è sopravvissuto alla strage, nel film il giovane Viljar (nella foto sopra) riesce a tornare alla vita dopo essere stato colpito da cinque proiettili e aver perso un occhio, porterà per sempre le cicatrici fisiche e psichiche di un giorno di ordinaria follia. Il buco nero aperto il 22 luglio a Utøya non è solo della Norvegia e del suo popolo è uno squarcio profondo in ognuno di noi. Un (ri)flusso che ci sta sommergendo a poco a poco. Cosa siamo diventati come cittadini ed essere umani? Cosa ci sta accadendo? Le risposte a queste domande dovrebbero essere inderogabilmente la priorità del dibattito politico italiano. Ma per ora non vedo nessun prendersi la briga di fermare il circo mediatico e tentare almeno di riflettere sui nostri tempi bui.

 

(*) Il link al pezzo di Dagospia.it l’ho scoperto dopo aver scritto questo pezzo

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