Blow-Up, di Michelangelo Antonioni

Lo svincolo verso la modernità, ispirato al racconto breve La bava del diavolo di Julio Cortazar. Palma d’oro a Cannes nel 1967, da oggi in sala nella versione restaurata

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Io non so come è la realtà. Ci sfugge, mente di continuo….Io diffido sempre di ciò che vedo, di ciò che un’immagine ci mostra, perché immagino ciò che c’è al di là, e ciò che c’è dietro un’immagine non si sa. Il fotografo di Blow-Up non è un filosofo, vuole andare a vedere più da vicino. Ma gli succede che, ingrandendolo, l’oggetto stesso si scompone e sparisce. Quindi c’è un momento in cui si afferrra la realtà, ma nel momento dopo sfugge. Questo è un po’ il senso di Blow-Up.” Michelangelo Antonioni

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L’essere e il nulla. E’ il 1966 e Blow-Up si colloca all’interno della Settima Arte come svincolo verso la modernità. Antonioni lancia la sfida sulla non conoscibilità della realtà attraverso domande senza risposta sostituite da una serie meditata di immagini. Come rappresentare visivamente il nulla, l’assenza, la non esistenza? La scomparsa di Lea Massari ne L’avventura e il deserto urbano nel finale de L’eclisse erano i primi indizi della diluizione progressiva dei soggetti in rapporto al mare dell’oggettività: la posizione voyeuristica non faceva che rendere critica l’identità dell’attore/regista/spettatore di fronte all’assenza di significato.

Il fotografo Thomas (David Hemmings), personaggio puramente concettuale, è una evoluzione astratta del James Stewart de La finestra sul cortile proprio perché cerca vanamente di colmare il gap tra la realtà e la sua rappresentazione. Dibattuto tra urgenze neorealiste (le fotografie che documentano la vita dei poveri nel dormitorio) e l’horror vacui della Londra modaiola ed estetizzante di fine anni sessanta, David Hemmings vive una crisi che è fonte di nevrosi e depersonalizzazione. La percezione soggettiva del fotografo è indistinta da quella oggettiva della macchina da presa, come nella modalità del pasoliniano discorso indiretto libero.

blow-up antonioniAntonioni pone anche molta attenzione alle prospettive e alla profondità di campo, stressando il rapporto dimensionale uomo/spazio. La narrazione per sottrazione (negazione dei sentimenti, negazione dei personaggi, negazione del parlato) esclude ogni possibilità di verità. L’ingrandimento fotografico (Blow-Up) porta alla luce diversi livelli di realtà, ma più ingrandiamo più arriviamo al punto in cui tutto si volatilizza. Antonioni non si ferma solo al parallelo tra indagine investigativa e indagine conoscitiva del reale che sarà lo spunto di tantissimo cinema moderno e postmoderno (De Palma, Fincher). Aggiunge altre due importanti connotazioni; la prima è che diverse forme d’arte provano a cogliere il noumeno sotto il fenomeno. La pittura (quell’astratta puntiforme in cui la struttura statica lascia intravedere forme e corpi), la musica (David Hemmings insegna alla Redgrave come andare contro tempo sentendo un pezzo jazz di Herbie Hancock; gli Yardbirds propongono Scroll On a un pubblico muto), la architettura degli interni piena di superfici riflettenti e barriere, la scultura (la visita all’antiquario per l’acquisto di una grossa elica).

E la letteratura? Il film è tratto da un racconto breve dell’argentino Julio Cortazar dal titolo La bava del diavolo ma è solo uno spunto per decostruire il visibile. La marijuana e l’alcol aprono ulteriori porte della percezione e fanno viaggiare restando fermi. Come il cinema, che rende visibile ciò che spesso non lo è. Ma il mondo vero sembra diventato favola, pantomima. La seconda connotazione dipende dalla sceneggiatura che procede per una assurda sequenza di finzioni: Thomas è benestante e non un senzatetto (la scena iniziale dell’uscita dal dormitorio è un omaggio ai fratelli Lumière), la moglie mente al telefono, il rullino dato a Vanessa Redgrave è farlocco, la stessa Redgrave dà un falso numero di telefono, le due ninfette fingono di amare (Jane Birkin mostra un nudo integrale che farà scattare l’immancabile censura), la fotomodella professionista Verushka simula con David l’amplesso nel primo servizio fotografico. Le stesse foto appese in tutta la casa sembrano una pallida “imitation of life” contrastante con i colori accesi della fotografia di Carlo Di Palma.

blow-up david hemmingsLe finzioni degli esseri umani si amplificano fino a destrutturare la realtà. Blow-Up, vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 1967, può essere considerata una opera filosoficamente scettica con un finale nichilista. I mimi che abbiamo visto all’inizio creare scompiglio anarchico per le strade di Londra adesso invadono il parco nel quale si è svolto il presunto omicidio. Due di essi cominciano a mimare una partita a tennis immaginaria. Tutti i presenti seguono con lo sguardo l’alternarsi della pallina da un lato all’altro del campo. Ad un certo punto con un colpo più forte, la pallina invisibile finisce fuori campo. Viene chiesto a David Hemmings di raccoglierla. Qui nasce il nodo fondamentale: rifiutarsi e interrompere questo gioco dell’assurdo oppure fare parte di questa finzione accettandone le regole e rimandando la pallina in campo. Che, trasposto in termini filosofici, potrebbe anche significare: ammettere il limite della ragione e accettare un mondo in costante mutamento oppure affermare il predominio della razionalità e cercare comunque un senso ponendo fine alla messa in scena. David Hemmings sceglie di rimandare la pallina ma ha, poco dopo, un piccolo barlume di lucidità. Intuisce la vastità del nulla che sta attorno alla nostra esistenza. In quel momento scompare.

Titolo originale: id.

Regia: Michelangelo Antonioni

Interpreti: David Hemmings, Vanessa Redgrave, Peter Bowles, Sarah Miles, John Castle, Jane Birkin

Distribuzione: Il Cinema Ritrovato-Cineteca di Bologna

Durata: 110′

Origine: Italia/Gran Bretagna 1966

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