Boston – Caccia all’uomo, di Peter Berg

Terzo film di un’ideale trilogia (con Lone Survivor e Deepwater), in Boston – Caccia all’uomo Berg fa scontrare ancora il classicismo narrativo e il disordine compositivo delle immagini-del-terrore

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Boston, 15 aprile 2013. Durante la tradizionale maratona del Patriots Day, proprio sulla linea del traguardo, una duplice esplosione su Boylston Street causa la morte di 3 persone e il ferimento di ben 264 spettatori. Caos e panico si propagano. L’ombra del terrorismo estremista aleggia su quell’evento, i media (ri)producono immagini virali che invadono gli schermi di mezzo mondo e le ore successive verranno ricordate come l’incubo più buio degli Stati Uniti nel post 11 settembre. Peter Berg ci immerge lentamente dentro quell’incubo, ormai avvezzo a costruire solidissime narrazioni intorno ad eventi realmente accaduti – questo Boston – Caccia all’uomo potrebbe del resto essere considerato come il terzo film di una trilogia pensata insieme all’attore/produttore Mark Wahlberg: dal soldato Lone Survivor nella missione afghana del 2005, alla tragedia dell’omonima piattaforma petrolifera in Deepwater, sino a questo attentato nel cuore di una delle città simbolo delle libertà americane – con un piglio registico ormai ampiamente riconoscibile.

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3Come nei precedenti due film, infatti, la narrazione parte costantemente da una placida situazione ordinaria di partenza (il pedinamento di “gente comune” nelle loro piccole azioni quotidiane: tutti e tre i film iniziano dal mattino, con il risveglio, la colazione, i gesti d’affetto, l’etica del lavoro, ecc, ecc), per poi pian piano scivolare nei traumi più profondi che stanno segnando la nostra epoca (rispettivamente la guerra, i disastri ambientali e il terrorismo) configurati dal disordine compositivo di diverse fonti, formati o risoluzioni delle immagini. Inquadrature improvvisamente sregolate che prendono coattamente il posto di quella narrazione classica e “trasparente” a cui i personaggi di Berg tendono ancora: l’evento scatenante porta il caos nelle vite delle persone e nelle immagini del cinema, avvolgendo puntualmente la bandiera americana di lacrime e fiamme e trasformando quelle stesse ordinary people in eroi loro malgrado. Persone che “facendo solo il loro dovere” (come fossimo in un film di Frank Capra) cercano di salvarsi dalla barbarie imminente.

4Berg sa benissimo che il suo innato istinto di narratore (i personaggi interpretati da Wahlberg potrebbero veramente uscire da un qualsiasi film di Capra, Wyler, Ford o degli altri Five Came Back…) deve oggi “sporcarsi le immagini” con un disordine compositivo che restituisca la complessità mediale del nostro presente (il montaggio ricorda il mentore Michael Mann e il più estremo Paul Greengrass) per ritrovare una forma solo nel post Apocalisse (come negli straordinari ultimi film di Katryn Bigelow). Ecco che nel suo apparato ideologico, patriottico e retorico di granitica nettezza, Berg sa comunque seminare dubbi (vi ricordate lo scioccante finale di The Kingdom?) e complicare ogni apparente semplificazione (nel disastro della Deepwater restano le macerie etiche di un sistema finanziario sempre più cieco), ma soprattutto sa riportare gli universali eventi traumatici (tutti eccessivamente mediatizzati) ad altezza-persona. Facendoci ri-conoscere i volti e i desideri, le perdite e le lotte, le lacrime e i sorrisi dei suoi personaggi – impagabili i poliziotti old school interpretati da John Goodman e J. K. Simmons e soprattutto lo sguardo dolente di Kevin Bacon che sembra uscito dal “bostoniano” Mistyc River di Clint –, dimostrando una ciminiana concezione della Storia e della vita. Perché a Berg interessano solo le persone che vi sono invischiate, con le loro esistenze provate e i loro sentimenti in tumulto.

PATRIOTS DAY (OT)Cosa succede a Boston? Ci si concentra su otto persone/personaggi che gravitano intorno all’attentato (compresi, ovviamente, i due fratelli estremisti ceceni che hanno confezionato le terribili bombe/pentole a pressione) e in particolare sul detective interpretato da Mark Wahlberg. Un novello James Stewart che cerca di aggrapparsi ai suoi privati ideali di libertà e giustizia: in tutti e tre i film Wahlberg esce ferito, sfigurato, provato, rigato dalle lacrime, ma ancora in piedi. Il suo volto segnato e la sua andatura zoppicante, i suoi abbracci alla moglie e i suoi tentativi di fare piccoli gesti di solidarietà, insomma è la sua confusione esibita (“non riesco a capire, non so cosa ho visto, ma quelle immagini non se ne vogliono andare dalla mia testa”) a costruire il nostro film. Perché se lo sguardo dell’eroe americano è ormai annebbiato e impossibilitato a riportare la pace nella vallata (come il vecchio Shane citato da Logan), allora la tradizionale caccia all’uomo diventa inevitabilmente virtuale. È tra le immagini, tra la bassa definizione della miriade di videocamere puntate sul traguardo della maratona che si annida il terrore/terrorismo. Il film ri-mette in scena il trauma, ossessivamente, sino a quella bellissima sequenza rivelatrice dove la giungla di immagini-virali torna ad essere “montata” da uno “sguardo” che riconosca i luoghi, le persone, le vie di fuga e gli angoli di strada, indicando un possibile percorso per braccare il “cattivo” di turno. La memoria emotiva di Mark Wahlberg, in questa liminale dialettica, ri-crea straordinariamente le traiettorie del film classico proprio nell’esperienza mediale contemporanea. Quello di Peter Berg, insomma, è un cinema sempre più consapevole e prezioso.

 

Titolo originale: Patriots Day
Regia: Peter Berg
Interpreti: Mark Wahlberg, John Goodman, J. K. Simmons, Kevin Bacon, Michelle Monaghan, Vincent Curatola
Distribuzione: 01
Durata: 133′
Origine: USA, 2016

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