Bridget Jones’s Baby, di Sharon Maguire

Sembra avere una marcia in più rispetto ai capitoli precedenti ma è solo un’illusione. Le risate sono chiamate come in una sit-com. E la normalità è presentata come straordinaria eccezione

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I segni del tempo su Bridget Jones. Dal diario del film capostipite del 2001, la protagonista creata nei romanzi di Helen Fielding sembra quasi come uno di quegli eroi delle saghe Marvel. Che però le cose eccezionali le fa vivendo nella monotona quotidianità. Come se dietro esistesse un ipotetico fumetto a determinare le caratteristiche fisiche, già modellate su quelle di Renée Zellweger, prima di quelle caratteriali.

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Bridget Jones ha ora 43 anni. È single e sembra essersi gettata totalmente sul lavoro, come produttrice di un notiziario. In un festival musicale, dove è stata rascinata da un’amica e collega, incontra un affascinante uomo statunitense, Jack Qwant. E intanto Mr. Darcy torna da lei. Abituata ad essere sola, si ritrova contesa da due uomini. E scopre anche di essere incinta. Ma chi è il padre?

Renée ellweger Bridget Jone's BabyBridget Jones’s Baby sembra avere una marcia in più rispetto ai capitoli precedenti, soprattutto del fiacco Che pasticcio, Bridget Jones!. Si vede che Sharon Maguire ha un maggiore feeling con il personaggio rispetto a Beeban Kidron e qui la lascia travolgere in una comicità demenziale che raggiunge i suoi risultati migliori nei dialoghi tra lei e l’amica presentatrice del programma tv o in tutta la sequenza del festival musicale dove sembra che il personaggio finalmente sia uscito dalle pagine del libro e dalla marcata caratterizzazione che le ha dato Renée Zellweger nel corso degli anni. Ma in realtà è solo un’illusione.

Dodici anni dopo la protagonista riprende lo stesso tipo di espressioni. Di disagio, di sorpresa, di felicità, di tristezza. Un campionario già collaudato in un film che vorrebbe staccarsi dai precedenti (in effetti il ritmo è maggiore e si ride decisamente di più) ma ne è al tempo stesso dipendente, con flashback/residui di alcuni dei momenti più importanti che hanno segnato quella che si può definire anche una saga. La storia sembra più strutturata (tra gli sceneggiatori, oltre alla regista e Dan Mazer, c’è anche Emma Thompson che ricopre anche la parte della brusca ostetrica), ma l’esibita normalità di Bridget Jones diventa invece l’eccezione. Sullo schermo tutto ruota attorno a lei. Quasi come un documentario. Non c’è più la sua insistente voce off. Ma sembra comunque di sentirla. Tanto da imbalsamare ancora Colin Firth e spegnere il gradualmente Patrick Dempsey. Perché a un certo punto il film ruota sul rapporto a tre, sull’attesa del parto. Un improbabile Jules & Jim moderno dove però chiunque si avvicini a Renée Zellweger rischia di essere bruciato. Le resistono solo la stessa Thompson o Gemma Jones nei panni della madre.

emma thompson renée zellweger bridget jones's babySharon Maguire non riesce a staccarsi da Bridget Jones, e quando ha provato a farlo ha offuscato tutto il potenziale di Michelle Williams nel suo melodramma/Thriller Senza apoarente motivo. Sembra che il suo sguardo nel film ne sia totalmente dipendente. È lei che fa partire l’azione, è lei che l’interrompe. E forse chiama le risate. Non le sentiamo ma ci troviamo come in una sit-com. E l’inganno si svela. Così come si smonta la possibilità di un terzo capitolo che poteva essere migliore degli altri due. Per un po’ ci si crede, poi ci si arrende. Si torna in un cinema accogliente ma che in realtà non si è mosso di un centimetro dal 2001. Certamente, come si è detto, migliore di Che pasticcio, Bridget Jones!. Ma non basta. E il gioco degli equivoci sull’attesa del bambino evidenzia come i tempi comici siano alquanto farraginosi. Proprio nel momento in cui la commedia, da soggettiva, deve provare ad essere più corale.

Titolo originale: id.

Regia: Sharon Maguire

Interpreti: Renée Zellweger, Colin Firth, Patrick Dempsey, Jim Broadbent, Gemma Jones, Emma Thompson, Celia Imrie

Distribuzione: Universal

Durata: 122′

Origine: Gran Bretagna 2016

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