CANNES 56 – "L'isola", di Costanza Quatriglio

É il mito per il mare a conquistare, è lo sguardo neutro, asciutto, della regista a sorprendere, a costruire il film come una collezione d'indizi, un'indagine secca per camera a mano, panoramiche, carrellate nelle superfici e profondità, e anche in quelle di volti anziani pieni di storia o giovanissimi che appena cominciano a farla, la storia di sé

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Costanza Quatriglio ha una solida, per qualità più che quantità, filmografia fatta di cortometraggi di finzione e mediometraggi documentari. Che confluiscono con naturalezza nel suo primo lungometraggio a soggetto, "L'isola", presentato a Cannes 2003 nella sezione 'Quinzaine des réalisateurs'. La trentenne filmaker palermitana di opere come il brevissimo, luminoso, senza dialoghi, in bianconero, "L'albero" (un omaggio anche all'opera del geniale misconosciuto Michail Kobachidze) o il documentario su ragazzine e ragazzini palermitani "Ecosaimale", esordisce nel lungometraggio con un testo che è la scoperta, al tempo stesso oggettiva e soggettiva, di un luogo, gli strati di un'isola del Mediterraneo, vissuta, questa scoperta, come una sorta di catalogazione tumultuosa, ma anche osservata da distante, di uno spazio fatto di terra e acqua. Burrascoso. Inquieto. Come in "Stormy weather" (uno dei titoli più preziosi del 'Certain regard' 2003), altro asciutto ritratto di isole (storia di un'amicizia fra due donne sole, fra Belgio e Islanda) di Sólveig Anspach.

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La storia, ne "L'isola", quasi non esiste. Una ragazzina. Un gruppo di pescatori di tonno. Generazioni al lavoro. Un'adolescente che approda in quel posto. Due storie d'amore fra adolescenti e una fra due anziani, accennate, che scorrono lievi, palpitando nel campo e nel fuori campo. Ma, sopra e sotto tutto, è il mito per il mare a conquistare, ed è lo sguardo 'neutro', asciutto, della regista a sorprendere, a costruire il film come una collezione d'indizi, un'indagine secca per camera a mano, panoramiche, carrellate nelle superfici e profondità, e anche in quelle di volti anziani pieni di storia o giovanissimi che appena cominciano a farla, la storia di sé. Ecco dunque l'esplorazione di un'isola, più fantasma che reale, opacamente affiorante per una ballata ruvida e seducente.


"L'isola", e la sua autrice, ci porta dentro profondità del mare che ricordano abissi cameroniani (quelle reti-trappole, quei resti là sotto, o anche un'imbarcazione incastrata nell'acqua; o in superficie quel cancello fuori dal tempo, come di luogo abbandonato, trasandato, imprescindibile alla memoria), riti senza tempo (la popolazione che carica la statua da consegnare alla barca e alle onde, una scena notturna che fa venire in mente quella de "La mummia", capolavoro egiziano di Shadi Abdu Al Salam, con i sarcofagi dei faraoni salvati dagli speculatori di tombe), gesti rivoluzionari nella loro semplicità di azione-non azione nel nome dell'amore. Come distruggere con una ruspa una muraglia, gesto compiuto da un uomo anziano per fare in modo che la nonna della piccola protagonista (bambina che coi capelli tagliati assomiglia alla regista) possa tornare, dalla sua abitazione, a vedere il mare – visto poi, in un controcampo non cronologico, da una commovente oggettiva-soggettiva. Sguardo che tocca, quello di Quatriglio, e distanzia, con la complicità delle musiche di Paolo Fresu e Dafher Yussef, che moltiplicano questo lavoro di distanzavicinanza. Di stretto rapporto con i personaggi-abitanti, gli adulti e quei bambini che la regista, da sempre, filma con dolcezza quasi hard, infilandosi, con loro, nei posti più impenetrabili. Semplicemente, altri strati di uno spazio mentale e fisico che abborda la favola ma già la consegna nella sua dimensione più 'documentaria', essa pure fantasma che chiama a sé da quel mondo osservato con la nuda verità dell'assenza.

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