CANNES 60 – "Les chansons d'amour", di Christophe Honoré (Concorso)

Dopo l'ottimo "Dans Paris", ancora un ritorno alla Nouvelle Vague da parte di Honoré e in particolare al cinema di Jacques Demy in un film vibrante, vissuto, sospeso tra gioia e tristezza, euforia e malinconia, raccontato più con il cuore che con la testa. Straordinario Louis Garrell che appare una specie di Doinel redivivo
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Per le strade di Parigi. Guarda ancora al cinema della Nouvelle Vague Christophe Honoré dopo Dans Paris, il suo vibrante e intenso lungometraggio presentato l'anno scorso nella sezione "Quinzaine des réalisateurs" e mai uscito in Italia. Basato su un materiale musicale preesistente – le canzoni firmate da Alex Beaupain – Les chansons d'amour sembra rifarsi al modello delle forme sospese tra commedia e melodramma musical di Jacques Demy. Come nei film della Nouvelle Vague, anche nella pellicola di Honoré Parigi (in particolare quella limitata del X° distretto) è sempre una sorta di personaggio onnipresente. Le luci di notte, le strade bagnate dalla pioggia, i locali come il cinema e "Les étolies" diventano gli spazi di un persistente nomadismo. Honoré si affida ancora al corpo di uno straordinario Louis Garrell (già protagonista di due film del regista, Ma mère e Dans Paris), nel disegnare le traiettorie infinite di una continua interazione tra parola e musica, dove le canzoni vengono filmate come stacchi temporanei, come prvvisori flussi di coscienza. Suddiviso in tre parti – "la partenza", "l'assenza" e "il ritorno" – il film vede al centro della vicenda Ismael (Louis Garrell), che si divide tra due donne Julie (Ludivine Sagnier) e Alice (Clotilde Hesme). Dopo l'improvvisa morte della prima per un arresto cardiaco mentre si trovavano in un locale per un concerto, il ragazzo vive in uno stato di perenne peregrinazione sentimentale che lo porta a incrociarsi con Erwann (Grégoire Leprince-Ringuet) che si è invaghito di lui. Come Dans Paris, anche Les chanson d'amour è una danza in cui i personaggi sembrano essere sospesi tra la terra e l'aria continuamente sospesa tra gioia e tristezza. Il trentasettenne cineasta francese riesce in pieno nel materializzare i mutevoli stadi sentimentali anche attraverso momenti periferici – Jeanne (Chiara Mastroianni), la sorella di Julie, che si trova in un parco in inverno con l'immagine delle rondini che volano – o autentiche zone di vuoto come nella scena del pranzo a casa della famiglia di Julie dopo che la ragazza è morta. Con un ottimo cast alle spalle che vede anche Brigitte Roüan nei panni della madre di Julie, Honoré dirige un film emozionalmente potente, vissuto, raccontato più con il cuore che con la testa dove i riferimenti Demy/musical/Nouvelle Vague non servono mai per inutili esercizi di stile ma sono piuttosto la piattaforma da cui il film si slancia e lascia emergere lo sguardo di uno dei cineasti più interessanti del nuovo cinema francese. Louis Garrell è filmato come una specie di Doinel/Léaud redivivo – l'immagine del suo volto vicino ai libri – ed è un corpo in continuo movimento, comico e dolente, che ride e piange. Basta l'esempio della scena in cui mima un burattino con un tovagliolo o la sua immagine davanti alla tomba di Julie per vedere un frammento del talento sia del regista sia dell'attore.

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